Ilaria Salis, la lettera dal carcere: «Non so mai che ore sono, isolata da tutto. Mi sento in fondo a un pozzo»

Alla sua lettera Ilaria, in carcere da un anno a Budapest, dà un titolo eloquente: "Dalla parte giusta della storia"

Ilaria Salis, la lettera dal carcere: «Non so mai che ore sono, isolata da tutto. Mi sento in fondo a un pozzo»

di Redazione web

Ilaria Salis manda un'altra lettera dal carcere per raccontare quello che le sta succedendo in Ungheria, dove è detenuta ormai da un anno per una presunta aggressione nell'ambito di una manifestazione neonazista. Il caso dell'insegnante lombarda era riemerso qualche settimana fa, quando la Salis apparve in aula al processo a Budapest in catene: quelle immagini scatenarono le polemiche e da quel giorno si sono succedute le richieste alle autorità ungheresi di concederle i domiciliari, richieste che però sono finora cadute nel nulla.

Alla sua lettera Ilaria dà un titolo eloquente: Dalla parte giusta della storia". «Sono caduta in un pozzo profondissimo, mi chiedo se ci sia uscita, ma non ho dubbi su quale sia la parte giusta della storia», scrive. La lettera è stata pubblicata integralmente dal quotidiano Repubblica e dal Tg3 nell'edizione di lunedì 25 marzo. «Mi sto abbastanza abituando a stare qui e non credo che sia merito mio, ma che questi posti siano fatti in modo tale che le persone si abituino a starci», scrive. «Adesso, quando mi aprono la porta della cella perché devo andare da qualche parte, mi fermo rivolta verso il muro per farmi perquisire, invece di iniziare a gironzolare con molta naturalezza per il corridoio come facevo all’inizio».

Il racconto dal carcere

Ilaria racconta delle dubbie condizioni igieniche del carcere («Ci mancano solo funghi e verruche»), parla di giornate interminabili «ma i giorni si susseguono rapidamente e mi sembra sempre di essere stata arrestata la settimana scorsa». «Non ho mai un’idea precisa di che ore siano», continua. «Al cambio della guardia della mattina c’è già luce, finché c’è allora solare. Poi sono ore lunghissime che non passano più, nell’attesa di scendere all’aria. Dopo il carrello il pomeriggio è interminabile e non succede più nulla. Il cambio della guardia della sera per me segna la fine della giornata. Arrivare fino a quell’ora ogni giorno è estenuante e dopo quell’ultimo rituale, che si svolge quando è già buio, più che addormentarmi, direi che cado svenuta. Mi accascio sulla branda svuotata di ogni energia senza badare al bagliore pungente del neon».

E ancora: «Anche le cose semplici qui diventano complicatissime. Di poche esperienze ho memoria che siano state così complicate. Forse quando a otto anni mi sono trovata, da un giorno all’altro, a frequentare la terza elementare in Inghilterra, senza parlare una parola di inglese e senza conoscere nessuno. Ecco, anche lì primi mesi erano stati abbastanza abbastanza complicati. Oppure, forse, quando ho imparato a camminare, ma ero troppo piccola per poterlo ricordare. In tutte quelle situazioni non ero mai da sola. Qui invece si si è completamente soli ed è bene non fidarsi di nessuno».

La Salis, nel rimarcare il suo isolamento dal mondo, riflette su quanto sia strano non sapere che ore siano «quando normalmente ti basta un leggero tocco dell’indice», così come trascorrere mesi senza parlare con i propri cari «quando fino al giorno prima bastava muovere il pollice sullo schermo del telefonino», o «non poter googlare tutto quello che ti viene o non ti viene in mente», senza poter ricevere nessun tipo di informazione dall'esterno. 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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«Caduta in un pozzo profondissimo»

«I mesi sono lunghi e accade che la bolla si trasformi in un buco nero che ti risucchia.

Prendendo in prestito una metafora che leggerò parecchi mesi dopo in un bellissimo fumetto dedicato alle mie vicende, sono caduta in un pozzo profondissimo - scrive nella sua lettera - Le pareti sono scivolose ed ogni volta che faticosamente cerco di compiere un breve passo per risalire appena un pochino, finisco sempre col precipitare più in profondità. A volte mi chiedo se questo pozzo abbia un fondo e se da qualche parte ci sia davvero un’uscita».

Ilaria continua: «Quando ti trovi sola con te stessa a raschiare la melma nel fondo del pozzo, quando la paura si fa terrore perché non hai idea di cosa ti stia per succedere, allora scorgi in te stessa risorse che non sapevi ti appartenessero». «Chiudo gli occhi e lancio lo sguardo oltre le mura di questo cieco carcere: scorgo le vicende di uomini e donne come ricambi in tessuti su arazzi che raffigurano storie più ampie. Storie di popoli, di culture, di lingue e di religioni. Storia di sistemi economici, politici e giuridici». «Apro gli occhi - conclude la lettera - e mi scorgono rannicchiata sulla grigia coperta, con lo sguardo fisso sulla porta di ferro della cella. Tutto mi appare semplice e lineare in queste vicende, come in molte altre, non può esserci alcun dubbio su quale sia la parte giusta della storia».


Ultimo aggiornamento: Lunedì 25 Marzo 2024, 20:14
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