Gaza, quale sarà il suo futuro? Netanyahu vuole trasformarla in una "piccola Manhattan". Biden spinge sulla Palestina come Stato

Gaza, quale sarà il suo futuro? Netanyahu vuole trasformarla in una "piccola Manhattan". Biden spinge sulla Palestina come Stato

di Sara Miglionico

Quale futuro per Gaza? I progetti di Biden e Netanyahu sono molto diversi. Una piccola "Manhattan" per il premier israeliano con i miliziani del 7 ottobre annientati e rinascita economica sotto il cappello della sicurezza garantita da Israele. Il contrario per Biden che immagina due popoli e due Stati, l'Arabia Saudita alleata di Israele contro l'Iran e la sicurezza garantita sai servizi palestinesi di Abu Mazen, a capò però di un'autorità riformata. 

Gaza, intesa sugli ostaggi e lite sulla fine della guerra. Dopo la tregua Netanyahu non vuole fermarsi

IL PIANO/1

Grattacieli, vie d'acqua, distese di verde. Navi commerciali di ogni stazza che si affollano al porto e lungo le spiagge. Capannoni industriali e strade a quattro corsie. Gaza come sarà. O, meglio, come dovrebbe essere nelle intenzioni degli ingegneri di Benjamin Netanyahu. Messo sotto accusa dalle forze d'opposizione e dagli alleati occidentali per l'assenza di un piano credibile sul dopoguerra nella Striscia, l'ufficio del premier israeliano ha prodotto e messo online, anche con l'aiuto dell'Intelligenza artificiale, immagini della futuribile Gaza bonificata dalla presenza di Hamas. Un progetto in primo luogo politico, che si basa sulla presunzione per cui a partire dal Nord, a mano a mano, si possano estirpare e estinguere le sacche di resistenza dei miliziani di Sinwar.

LA SPARTIZIONE

Tre le fasi immaginate dagli strateghi di Tel Aviv. La prima è quella dell'aiuto umanitario, che consiste nel creare "safe areas", zone sicure libere dal controllo di Hamas, con una coalizione di Paesi arabi non ostili che comprende Paesi del Golfo quali l'Arabia Saudita, gli Emirati arabi uniti e il Bahrain, più Egitto, Giordania e Marocco, che dovrebbero spartirsi i distretti di competenza e garantire sicurezza e forniture di prima necessità, dal cibo all'energia. La seconda fase durerà da 5 a 10 anni, dedicata alla ricostruzione con la supervisione di un organismo multilaterale arabo, Gra (Gaza Rehabilitation Authority), che dovrebbe anche gestire i fondi per la rinascita. La sicurezza resterebbe di fatto appannaggio di Israele. Nella terza fase, dopo il "piano Marshall", i clan palestinesi preesistenti (ma non Hamas, né l'Autorità palestinese che governa in Cisgiordania) dovrebbero mettere in piedi l'autogoverno, senza però avere uno Stato o l'indipendenza riconosciuta internazionalmente. La ricostruzione avverrebbe «da zero», considerando le distruzioni, e il punto di forza è quello che Netanyahu ha sempre considerato, ingenuamente, uno scudo di sicurezza per Israele: la convenienza economica per i palestinesi della Striscia, che avrebbero finanziamenti imponenti e opportunità di lavoro. Su base regionale, Gaza tornerebbe importante come passaggio lungo le rotte commerciali tra Baghdad e l'Egitto, e tra Yemen ed Europa.

Sorgerebbe un nuovo porto, e prospettive si aprirebbero per la produzione di energia solare, per i corridoi petroliferi e la produzione di auto elettriche con manodopera a basso costo, oltre all'area di libero scambio con Sderot, in Israele, e Al-Arish, in Egitto.

IL PIANO/2

ROMA Il progetto americano per il dopo Gaza è più politico che economico, e si basa sull'assunzione di responsabilità dell'Autorità palestinese di Abu Mazen, resa possibile dai recenti cambiamenti alla guida del governo e dei servizi segreti di Ramallah. Se un movimento squalificato per corruzione e debolezza della leadership come quello di Abu Mazen deve assumere le redini della nuova Gaza, ha bisogno di rinnovarsi, proporsi in modo credibile e riconquistare consenso rispetto a Hamas, anche in Cisgiordania. L'altro punto fermo della visione Usa per il dopoguerra è il riconoscimento dello Stato di Palestina, con la soluzione dei due popoli e due Stati che dopo il 7 Ottobre è tuttavia molto impopolare in Israele e si scontra da sempre con la ferma opposizione di Netanyahu. La conclusione di negoziati sulla tregua, gli ostaggi e il piano per il dopoguerra a Gaza, attraverso il riconoscimento della statualità della Palestina, è necessaria agli americani per riprendere il filo della trattativa che prima del 7 Ottobre stava per portare l'Arabia Saudita e Israele a firmare gli "accordi di Abramo", al pari di altri Paesi arabi che lo avevano già fatto.

LA COALIZIONE

Sullo sfondo, c'è sempre la creazione di un fronte comune e una coalizione militare capace di opporsi all'aggressività dell'Iran nella regione, esercitata attraverso le milizie proxy filo-iraniane Hezbollah in Libano, Hamas a Gaza e Houthy nello Yemen. Anche il piano di Biden, bocciato finora da Netanyahu, si basa su diverse fasi ed è frutto di un'elaborazione che dura da mesi, portata avanti dal Consiglio per la sicurezza nazionale sotto la guida di Brett McGurk assistito da Terry Wolf, veterano sia del Dipartimento di Stato che del Pentagono, insieme a figure chiave come Barbara Leaf, Dan Shapiro e Hady Amr, responsabile per il Medio Oriente al fianco del segretario di Stato, Blinken. Un altro co-autore del progetto americano è William Burns, direttore della Cia. I documenti Usa, rielaborati e aggiustati più volte, si basano sull'Anp, il riconoscimento della Palestina e il coinvolgimento di Paesi arabi in una forza multinazionale sotto l'ombrello delle Nazioni Unite sulla falsariga di quella (in gran parte italiana) che fa da cuscinetto tra Hezbollah e gli israeliani nel Sud Libano. Principale alleato degli Usa nel disegnare il futuro della Striscia è l'Egitto di Al-Sisi, che ha tutto l'interesse a evitare un esodo di palestinesi da Gaza tramite Rafah, così come l'Arabia Saudita in chiave anti-iraniana. Il principale avversario, paradossalmente, l'alleato Netanyahu.


Ultimo aggiornamento: Lunedì 6 Maggio 2024, 09:46
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