Pestaggi nel carcere minorile di Milano, i poliziotti in guerra con il direttore: «Non ci copre, mettiamoci in malattia»

Indagati preoccupati per alcuni video e per l'avvicendamento al vertice

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di Claudia Guasco

«Dobbiamo mandare 50 giorni di malattia. Tutti quanti, perché non esiste. Tu sei il direttore, tu ci devi proteggere. Punto. Per un marocchino di m...a che manco parla l’italiano». È lo scorso marzo e gli agenti indagati per le violenze al Beccaria si rendono conto, tra l’irritato e l’allarmato, che ai vertici dell’istituto l’aria è cambiata.

Vincenzo Trovato, indagato e sospeso dal servizio, manifesta il suo disappunto in una conversazione intercettata: «In passato, quando accadevano simili episodi spiacevoli, il comandante Ferone li salvava, mentre la nuova comandante non guarda in faccia a nessuno». All’arrivo delle prime denunce interne sui pestaggi, stando agli atti, era proprio Ferone a intervenire con un’efficace operazione di manipolazione della realtà. «Adesso, tra oggi e domani mattina al massimo, fate uscire ‘ste relazioni. Per dare, ripeto, una lettura più corretta di quello che risulta dalle immagini», esorta i suoi uomini. Non si tratterebbe di un intervento occasionale. Per il gip il comandante «ha sempre “sistemato” le relazioni di servizio in modo da evitare che gli agenti incorressero in responsabilità penali e disciplinari». Ferone è tra gli otto indagati sospesi dagli incarichi con misura cautelare, per lui ha retto solo l’imputazione di falso, e secondo l’inchiesta avrebbe avuto «piena consapevolezza del metodo violento» degli altri agenti finiti in carcere. Ma il primo dicembre 2023 arriva il nuovo direttore Davide Ferrari, «uno che vuole fare sul serio» e acquisire le immagini delle «telecamere» che riprendono le spedizioni punitive e che non corrispondono alle annotazioni scritte.

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Tra gli agenti serpeggia l’indignazione e il comandante viene preso di mira: «È tutto scemo.

Io non so perché si è svegliato in questo modo. Dice che sta prendendo provvedimenti seri, si sta scaricando le telecamere. Tutte le mazzate che so state date qua, non puoi fare una cosa del genere», il tenore dei commenti. Il sistema di autoprotezione messo in atto dagli indagati si sgretola. «Prima non c’erano le videocamere, si trovavano le scuse, il ragazzo ci ha aggredito, bla bla bla. Ma mo’ non è più come una volta, mo’ stanno le telecamere che parlano. E come ca... ti giustifichi?». Simone Talamo, finito in carcere, si stupisce con un collega della determinazione del nuovo direttore a non lasciare cadere nell’indifferenza quei casi sospetti. Un altro degli arrestati, Giovanni Blandino, discutendo della possibilità che fossero acquisite le immagini, il 9 marzo nutriva ancora la speranza che per lui finisse bene: «Nei video si vedono tante palate, tante e brutte. Però vabbè... alla fine io lo so com’è che non gli devo lasciare un ca..o. Infatti non ha un segno addosso». Al gruppo non resta che provare a compattarsi e reagire con l’unico strumento disponibile: l’assenteismo di massa. Il consiglio di Talamo: «Fratè, veramente gli mandiamo tre giorni di malattia tutti quanti. Lo facciamo crollare sto ca..o di carcere se si permettono, zio».


Ultimo aggiornamento: Martedì 23 Aprile 2024, 13:39
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