La deglobalizzazione ci fa male

La deglobalizzazione ci fa male

di Alberto Mattiacci

Capita spesso che le cose si apprezzino nel momento in cui ci si accorge di non averle più. Speriamo non capiti con la globalizzazione.

In questi ultimi anni, a causa di una serie di fattori -guerra in Europa, pandemia e tensioni geopolitiche internazionali, su tutti- sembra essersi avviata una riduzione dell’integrazione socioeconomica mondiale. La chiamano “deglobalizzazione”.

In termini numerici, essa è misurata dal contemporaneo calo di: (1) commercio internazionale; (2) investimenti stranieri e (3) movimenti di capitale. Vediamo.

(1) Commercio: secondo la World Trade Organization, il commercio mondiale di merci è diminuito del 13% nel 2020, il più grande calo dal 1930. (2) Investimenti stranieri: secondo la Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD), sono diminuiti del 35% nel 2020, il più grande calo dal 1999. (3) Capitali: secondo il Fondo Monetario Internazionale (FMI), i movimenti di capitale globali sono diminuiti del 25% nel 2020, il più grande calo dal 2008.

I sovranisti italiani diranno: “evviva!” . Ma si sbagliano -e di grosso. L’Italia, infatti, ha tutto da perdere dalla deglobalizzazione, essendo un’economia aperta (l’export è un terzo del PIL), forte ma fragile (leggi: debito pubblico) e molto integrata ad altre.
Cosa rischiamo? Minore crescita economica, perdita di posti di lavoro, calo di competitività dell’industria, aumento dei prezzi delle importazioni (e così ulteriore inflazione), calo del turismo.

Mi pare abbastanza no?


Ultimo aggiornamento: Mercoledì 4 Ottobre 2023, 08:14
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