La nemesi/ Il conto finale di chi accusava Roma ladrona


di Mario Ajello
Non è un complotto. E' solo un conto da pagare. Salatissimo, politicamente, per la Lega. E' il conto che smonta uno slogan ripetuto per decenni sugli alpeggi e sui pratoni, tra Pontida e il Dio Po: Roma Ladrona, la Lega non perdona. E invece alla Lega non è stato perdonato di avere depredato Roma. In questa storia alla rovescia, in cui il Carroccio deve vendersi tutto il poco che gli è rimasto per ripagare le truffe ai danni dell'odiato Stato centralista e dell'Urbe Matrigna accusata di impoverire il Nord, chi agitava il cappio contro la suburra romana luogo di pastette e di intrallazzi se lo vede adesso avvolto intorno al proprio collo. I lumbard si sono mangiati dal 1988 in poi, dai tempi di Bossi a quelli di Salvini, una torta dalle dimensioni di 348 miliardi 453 milioni 826 mila vecchie lire di finanziamento pubblico e rimborsi elettorali, ora il piatto piange e il cartello «magna magna» - che «Va stampato a caratteri di fuoco sul Colosseo!», gridava il Senatur - se lo sono aggiudicato loro. Con tanto di sentenza del giudice e di pronta esecuzione.

La retorica forcaiola sulle ruberie dello Stato Padrone finisce la sua parabola nella mestizia di una Lega Predona che denuncia trame oscure contro di essa per nascondere un andazzo che avrebbe fatto impallidire Alberto da Giussano e squagliare di lacrime il suo scudo da guerriero padanista.

DAI SORRISI ALLO CHOC
I diamanti comprati dal tesoriere Belsito. I soldi pubblici trasformati in lingotti d'oro dai presunti strateghi della Lega. Gli investimenti acrobatici tra Cipro e la Tanzania. La laurea comprata per il Trota. Tutto questo e tanto altro è la Grande Truffa ai Danni dello Stato. E ora ci sono da restituire 49 milioni di euro, e «dove li andiamo a prendere?», rideva due mesi fa Salvini, sicuro di cavarsela: «Al massimo abbiamo in cassa 49 euro e non sono neppure tanto sicuro che arriviamo a quella cifra». Anche se hanno già licenziato tutti i dipendenti del partito, perché i soldi avuti da Mamma Roma se li sono intascati la Bossi Family e i suoi clientes. Ora la certificazione di Lega Ladrona non sembra prevedere quelle italiche scappatoie, che loro definirebbero sudiste e levantine e che però speravano potessero scattare con una sanatoria o con lo scurdammoce o passato: napoletanismo che avrebbe fatto tanto comodo ai barbari sognanti.

La mazzata oltretutto ha un valore ancora più forte perché arriva alla vigilia del referendum autonomista della Lombardia e del Veneto. Una consultazione voluta proprio dalla Lega d'antan, quella bossiana e maroniana, ma che la leadership di Salvini, anche per tatticismo ad uso interno, ha sposato. Se il lombardo-veneto auto-governato avrebbe dovuto rappresentare la palestra della virtuosità di un partito serio e scrupoloso nel gestire i soldi dei cittadini, ebbene le vicende di queste ore rendono questo storytelling ancora più improponibile di prima. La morale immorale di questa storia è che la propaganda autonomista, di cui la Lega si è fatta da sempre portatrice, è sfociata in una sequela di ruberie. E proprio alla luce di questo è ancora più incomprensibile il fatto che la sinistra abbia deciso di associarsi - annunciando il proprio sì al referendum del 22 ottobre - a questa retorica in fondo anti-romana che ha prodotto frutti avvelenati e non riforme serie.

LE VISCERE
Come facciata, dunque, i proclami autonomisti e indipendentisti. Nelle viscere del Carroccio, invece, un cuore centralista, da intendersi come centro il luogo da spolpare. E così la Lega s'è fatta gaglioffa, sino al punto di superare in ruberia tutti gli altri che pretendeva d'impiccare sul Sacro Pratone di Pontida. Adesso, è il momento di leccarsi le ferite, e di contare i pochi spiccioli rimasti, di questa impostura ideologica lunga più di 30 anni. La Lega di Salvini, naturalmente non è la Lega di Bossi. I comportamenti di prima non sono paragonabili a quelli della generazione successiva al fondatore, anche se la discontinuità nei comportamenti sarebbe dovuta essere assai più marcata. Ed è anche, in effetti, un problema democratico serio quello per cui una delle maggiori forze politiche del Paese, e che rappresenta milioni di cittadini, si troverà ad affrontare le prossime elezioni senza avere i mezzi finanziari per farlo. E si tratta oltretutto di elezioni con il sistema proporzionale, che sono quelle che costano di più. Ma alla Lega modello Pulcinella (in peggio, naturalmente) a un certo punto Pantalone ha detto: ora non pago più, tocca a te!

 
Ultimo aggiornamento: Venerdì 15 Settembre 2017, 07:55