Renzi all'Assemblea nazionale Pd
«Straperso al Sud e coi giovani»

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«Non abbiamo perso, abbiamo straperso il referendum costituzionale al Sud e tra i giovani». è l'ammissione di colpa dell'ex premier, tornato a parlare in pubblico all'assemblea del Pd, la prima dalle sue dimissioni. «Il nostro approccio al Sud non è stato disinteresse ma abbiamo pensato fosse sufficiente una politica di investimenti senza pensare a un coinvolgimento vero. Ci siamo stati ma abbiamo avuto un approccio troppo centrato sul notabilato e non sulle forze vive della comunità del Sud. Aver messo tutte quelle risorse senza essere riusciti a coinvolgere nel modo giusto le persone è stato un errore. Il Cipe ci fa ricostruire una strada, il Ponte una speranza».

Poi un messaggio a Grillo e ai suoi: «Agli amici di M5s potremmo proporre questo patto: smettete di dire bufale sul Web e noi non diremo la verità su di voi, e cioè che siete una azienda privata che firma contratti con gli amministratori. Lo diremo alle prossime elezioni» . E un invito al sindacodi Milano Beppe Sala: «Comprendiamo la sua amarezza ma gli chiediamo di fare ciò che i milanesi gli hanno chiesto di fare».

Immancabile il passaggio sulla legge elettorale: «Alle altre forze politiche chiediamo di non fare melina sulla legge elettorale. Abbiamo messo la fiducia sull'Italicum per chiuderla, perché sono venti anni che non si chiude. Vogliamo l'ultima occasione di maggioritario o scivoliamo verso il proporzionale? Vi propongo di andare a guardare le carte sull'unica proposta che ha la possibilità in tempo breve, che ha visto vincere centrosinistra e centrodestra, ha visto vincere l'Ulivo di Prodi e porta il nome di Mattarella. Andiamo a vedere, il Pd c'è».

E un invito al partito a ripartire dal 'Noi': «Abbiamo perso il referendum ma era giusto provarci, è stato giusto prenderne atto, ora è giusto rimettersi in cammino non come singoli ma come comunità. E io per primo devo assumendomi la responsabilità di dire che c'è più bisogno di noi che di io». Poi scherza: «Mi candido al Senato e in prospettiva alla presidenza del Cnel. L'idea di andare a raccogliere le preferenze e vedere se gli altri superano lo sbarramento dell'8% mi sembra molto interessante».
 

«Ho perso il referendum - ha specificato il segretario - e anche questo ha segnato in modo molto forte il dibattito politico europeo. Faremo un'analisi molto dura, spietata, innanzitutto con noi stessi di quello che è accaduto al referendum. Un'analisi seria e severa, ma anche un sano senso di passione per la cosa pubblica devono segnare questa assemblea». E aggiunge: «E chi fa giri pindarici per dire che abbiamo preso un sacco di voti dice la verità, ma non dice che il 41% è una sconfitta netta. Sognavo di prendere 13 milioni di voti, ne abbiamo presi 13 e mezzo ma la straordinaria partecipazione ha portato a non far bastare quei 13 milioni e mezzo di voti».

«L'errore principale non è nemmeno la personalizzazione. Se il 59% è un voto politico, il 41 non è il voto dei giovani costituzionalisti. Il mio errore è stato non aver capito che il valore del referendum era nella politicizzazione, non nella la personalizzazione. Ma allora il 41% è il partito più forte che c'è in Italia e l'unica speranza». «C'è un voto politico sul 41% - ha aggiunto - con cui tutti devono fare i conti. Il punto è come il Pd, facendo tesoro degli errori, riparte. Perché il no non è una proposta politica omogenea. Il 41 al referendum è una sconfitta netta. Ma attenzione perché è un popolo che ha bisogno di avere un luogo, o dei luoghi da cui ripartire, e noi siamo il principale di questi luoghi», conclude. Non risparmiando una frecciatina alla minoranza interna: «Certi atteggiamenti sono stati sopra le righe: non si può dire che con me si rischia la deriva autoritaria, quando da un lato ci sono partiti azienda che selezionano i dirigenti sugli interessi del leader e dall'altra aziende che fanno firmare contratti agli amministratori. Pensare che persone del mio partito festeggiavano le mie dimissioni ha ferito il senso di comunità».

«Stiamo andando al voto, non sappiamo quando e non è importante nemmeno sapere la questione. In questo momento chi ha paura di votare sono gli altri. Perché per loro va benissimo agitare la bandierina del 59% ma se li metti in una competizione elettorale come partito non possono più lamentarsi, devono iniziare a dire cosa pensano. Dicono che si deve andare a votare ma ne hanno una paura matta».

«Non mi vedrete fare il tour del Paese con i camper, è finito il tempo in cui riempivamo i teatri riempiamo le folle. Voglio lavorare in modo meno organizzato, arrivare all'improvviso, fare l'allenatore e il talent scout di giovani. Verrò a cercarvi uno per uno, voglio stanarvi e chiedervi di darci una mano per farci del Pd più forte».

«Il congresso sarebbe stata la scelta migliore per ripartire all'interno del Pd, dal giorno dopo ho pensato al congresso. Ma la prima regola del nuovo corso deve essere ascoltare di più, io per primo. Ho accettato i suggerimenti di chi ha chiesto di non fare del congresso il luogo dello scontro del partito sulla pelle del Paese e non piegare alle esigenze che sentivo le regole, non piegarle a nostro vantaggio. Faremo il congresso nei tempi, non come resa dei conti»

«Abbiamo fatto riforme molto profonde; se due ragazzi si amano e, indipendentemente dall'orientamento sessuale, ora possono vivere insieme è grazie a una riforma del Pd». E alludendo all'intervista di D'Alema riportata oggi da «La Stampa»: «Queste riforme non puzzano, segnano la grandezza del Pd».

«Qui a Roma voglio dire che la politica non è l'indicazione delle cose che non vanno, l'urlo di chi dice No e non propone un'alternativa. Se si fa così politica, il Paese non va da nessuna parte, si blocca il Paese. Se per bloccare la corruzione si bloccano le Olimpiadi, si blocca la propria città. E forse per bloccare la corruzione bisognerebbe scegliere meglio i collaboratori».

«Eravamo a un passo dalla Terza Repubblica e invece rischiamo di tornare alla Prima, senza la qualità della classe dirigente della Prima Repubblica. Avevamo detto che quella riforma avrebbe fatto il bene del Paese, che avremmo permesso all'Italia di essere un Paese più semplice. Il fatto che si sia detto un No forte, non impedisce di dire che questo No blocca qualsiasi riforma. I contrari alla riforma avevano detto che in 6 mesi avrebbero avviato un'altra riforma: sono passati 15 giorni, restano cinque mesi e mezzo, e ancora non si è visto nulla».

«I mille giorni sono il passato remoto del Paese, non sono per l'Amarcord» ma «non andremo da nessuna parte se continueremo ad accettare l'idea che la politica sia solo di chi urla proprio no. I mille giorni del governo hanno segnato dei risultati che illustreremo in un libro, che lasciamo alla cronaca di questo Paese. Se oggi non c'è stato nessun commento che abbia notato come fosse il Paese nel 2014 e com'è nel 2016 non è un problema per la nostra autostima ma richiede dai commentatori un di più di verità e coerenza nell'andare a vedere che un Paese fermo si è messo in moto, non perché c'è stato un presidente del Consiglio ma perché il Pd ha accettato la sfida di sporcarsi le mani».
Ultimo aggiornamento: Lunedì 19 Dicembre 2016, 12:28
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