Il terrore islamico puntiforme, la Francia
e l'Italia: così vicini e così lontanti - L'analisi

La minaccia del terrorismo puntiforme - L'analisi

di Alvaro Moretti
Un primo consiglio che do a me stesso e giro – a voi piacendo – a chi legge: in questi momenti ancora caldi del dopo attacco a Parigi diffidate/diffidiamo di chi ci propone ricette semplici. Qui non c’è la pillola di Mary Poppins, né la medicina amara che Pinocchio ingerisce per uscire dai guai. Non c’è soluzione finale, qui; non c’era neanche il nazismo come la storia – per fortuna di tutti – ha dimostrato con la Seconda Guerra mondiale. Astenersi perditempo e faciloni: a questa voce leggi politici italiani che sorpassano a destra la Le Pen che di destra anti-immigrati s’intende e si ciba tutti i giorni, ma non in QUESTI giorni permeata del patriottismo francese per cui uniti si può vincere (gli spaventati che scappavano dallo stadio cantando la Marsigliese), divisi hanno già vinto loro.

Il fenomeno di un islamismo semi-domestico permea le nostre società, il proselitismo ad una dottrina (quella estrema) che mette la morte al di sopra della vita, la vendetta come valore ed – eventualmente – il perdono come segno meno nella scala delle cose buone da fare è già con noi.

La Francia – dove, ricordiamocelo tutti, si dovrebbero giocare i prossimi Europei di calcio a giugno - è la più esposta d’Europa: nel suo grembo di matrigna ha allevato intere generazioni di figli di un colonialismo finito che peggio non si poteva, senza vera integrazione se non nello sport forse; la Francia è presentissima sui teatri di guerra guerreggiata del Medio Oriente in armi e forze; ha preteso lo sconquasso libico della defenestrazione e uccisione di Gheddafi (ai tempi di Sarkozy); lavora alacremente al ribaltamento di Assad in Siria. Ha le mani in pasta, la Francia, e milioni di cittadini che pregano in moschea e hanno lingua e linguaggi permeabili anche dalla cultura di morte e terrore dell’Is.

Nessuna facile ricetta, dunque, perché il nemico adesso – visto che di guerra guerreggiata sul terreno si tratta – è puntiforme, diffuso, difficile da marcare: i grandi obiettivi simbolici – probabilmente – sono al sicuro, protetti. Manca la protezione al piccolo ristorante cambogiano, non può che mancare ad un concerto rock, l’elemento simbolico del toccare il tempio del calcio o dello sport (STade de France) è uno sfregamento della piramide. Perché entrare dentro uno stadio con un Ak47, un Kalasnikov, è difficile. Il terrorismo dell’Is non ha il senso cinematografico dello spettacolo quando gioca in trasferta (in casa, invece, sì: il set è pronto, ciak si sgozza!). E’ minimal il mitragliere nella folla: uno dei tanti che ad un certo punto spara (e di questi mitraglieri ne abbiamo in giro per il mondo, anche negli States nelle scuole per differentissimi motivi). Sono confusi tra una folla di simili, sparano sapendo di non rischiare niente agli occhi del loro dio: e si fanno esplodere, potendo, per sugellare in pieno la vocazione allo scontato martirio.

Ora - quando il fronte francese è ancora apertissimo e già si guarda con tutti i timori del mondo all’Europeo di calcio – caliamo nel nostro quotidiano e nel domani prossimo venturo i nostri cattivi pensieri, una paura emersa eppure profondissima di non saper cosa fare, di pensare che non ci sia niente che si possa fare.

Tra tre settimane a Roma prende il via l’evento più simbolicamente significativo di una eventuale guerra di religione: il Giubileo che Bergoglio vorrebbe della misericordia. Roma obiettivo alto, con le sue cupole papali, con i raduni di massa, con la sua preghiera cristiana ostentata – una volta tanto - in via eccezionale anche in un Paese, l’Italia, sempre più secolarizzato.

La domanda è la seguente, a Roma città ospite di questo passaggio storico dell’umanità, attorno a noi riusciamo a scorgere segnali di qualche vicino pronto ad entrare in azione, pronto a fiancheggiare chi volesse farlo da forestiero? Se voi chiedete in un bar dell’11mo arrondissement di Parigi di indicare qualche avventore in odore di Isis, forse il barista avrebbe – per difetto – problemi a limitare il range dei papabili; a Roma (la prova l’ho fatta stamane) il barista (e si spera anche le forze dell’ordine sul territorio) dovrebbero poter indicare più facilmente i “soliti sospetti”.

Diciamo questo per tirarci su di morale, magari. Per provare a farci coraggio – proprio quello di cui si ha bisogno entrando in guerra, specie una guerra dove la trincea è la nostra vita quotidiana da difendere oltre il terrore istillato –, ma anche per convinzione che l’humus, il brodo di coltura sia fondamentale per la crescita delle piante del male. Guardiamoci attorno, pronti a mettere insieme i puntini: se il nemico puntiforme è tra noi, la sua figura intera la dobbiamo conoscere per tempo. Il giorno prima.




Ultimo aggiornamento: Domenica 15 Novembre 2015, 19:59
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