Edoardo Vianello fa 80: «Quel giorno che Mina telefonò a mamma: Voglio Edoardo in tv»

Edoardo Vianello fa 80: «Quel giorno che Mina telefonò a mamma: Voglio Edoardo in tv»

di Marco Castoro
Edoardo Vianello compie 80 anni. E domenica li festeggia sulla piazza del Campidoglio con un concerto memorabile.
Che cosa ci ha preparato?
«Due ore delle mie canzoni, dalle 19 fino a quando il sole tramonta. Repertorio classico, curiosità e aneddoti della mia vita artistica, raccontando quelle coincidenze che mi hanno aperto le porte del successo. Mi accompagnano 8 musicisti e 4 coristi. Conduco io, con i miei ritmi, non mi piace essere sotto schiaffo di altri. Vado avanti con la mia ironia garbata che mi ha sempre accompagnato».
La hit parade delle sue canzoni?
«1) Il Capello 2) Abbronzantissima 3) I Watussi».
Musica spensierata, la chiave per essere diverso dagli altri, mai canzoni impegnate. Perché?
«Quando ho cominciato la musica era svago e basta. Canzoni allegre. Mi sono sbizzarrito a farne di tutti i tipi. Una ricerca continua per essere diverso e mai banale. Le melodiche le fanno in tanti».
Quei meravigliosi anni 60…
«Qualcosa di magico. La gente era ottimista, si intravedevano prospettive. Non avevamo tante cose, quindi ogni piccola conquista ti dava delle soddisfazioni. Dal punto di vista musicale gli anni più importanti. La musica da impegnata diventava spensierata, ironica, seppure con dei contenuti nascosti».
I cantautori le piacciono?
«I classici sì. Baglioni il più forte di tutti. Ma anche Zucchero, Dalla, Fossati».
Una canzone che avrebbe voluto cantare?
«Di altri ho cantato solo canzoni di Modugno. Un grande artista che ha fatto capire che non bisognava per forza avere il belcanto ma era importante come si dicevano le cose. Senza Modugno non avrei mai cantato. Ha rotto le tradizioni. Ha creato qualcosa di diverso. Sbavavo a guardarlo. Persona affabile. Mi trattava come un nipotino. Ma non c’è stato un motivo di incontro artistico».
Un momento di svolta della carriera?
«Il mio debutto tv. Sono entrato dalla porta principale senza saperlo. Ero a Napoli in un locale, la mattina mi chiama mia madre e mi dice “ha telefonato la Rai, devi fare uno spettacolo con Mina”. Ah Mà! ma come ti viene in mente? Chissà che hai capito! Mi dà un numero di telefono e in effetti Mina mi voleva in trasmissione a Studio 1. Fu il punto di partenza della carriera discografica perché cantai Il Capello. Era il 1961».
Che tipo è Mina?
«Persona straordinaria. L’avevo conosciuta l’anno prima a San Benedetto del Tronto. Trovai il modo di farmi presentare dal proprietario del locale e lei mi disse che aveva già sentito parlare di me. Questo mi rese contentissimo. Non solo, a metà del suo spettacolo mi ha invitato sul palcoscenico facendomi cantare quattro canzoni».
“Oh Mio Signore”, come nasce l’idea?
«Io avevo sempre cantato brani allegri e una sera incontrai Mogol. Mi disse che era giunto il momento di dare una svolta alla carriera con una canzone melodica. “Adesso andiamo a casa e la facciamo”. E quella stessa notte abbiamo scritto e composto Oh Mio Signore. Era il 1963. Io reduce da Pinne e occhiali e Guarda come dondolo. Fu una novità. L’unica canzone che è stata prima in classifica, le altre bazzicano tra il secondo o terzo, è rimasta in testa per 2 mesi».
Eccoci ai Vianella…
«1972. Un attimo prima che uscissi in scena per la prima di Semo gente de borgata l’impresario mi disse: attento a non marcare troppo il romanesco perché l’Italia è uno stato di 20 stati. Con la tensione che avevo non sopportai quel freno e lo licenziai in tronco».
Il rapporto con Roma…
«Fantastico. Sono un amante e studioso delle fontane di Roma, ho un archivio con 5000 fontane censite e 3560 fotografate. È il mio hobby collaterale da 15 anni. Il suono delle fontane abbinato alle musiche trasmette delle emozioni indescrivibili. Un modo per raccontare Roma».
Lei ha due scuole musicali, ma perché i giovani preferiscono i Talent?
«Il giovane è convinto che con il talent si superano tutte le tappe intermedie. Arrivi subito, ma poi non sei in grado di mantenerti in quota. Ti facilita apparentemente la strada, però una volta che ti ha usato ti molla per strada. Mentre negli anni 60 si lavorava su chi aveva talento, veniva seguito e coccolato e alla fine veniva fuori. Imitare gli altri e cantare in inglese non ti fa crescere»
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 20 Giugno 2018, 09:24
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