Vita da Agnelli, Ginevra Elkann: «Il mio ritratto di famiglia in Magari»
di Michela Greco
I suoi protagonisti sono tre fratelli: l’adolescente Seba, il mediano Jean e la piccola Alma, di 8 anni, attraverso il cui sguardo malinconico passa la magia di un racconto dotato di personalità e autenticità. I loro genitori sono separati e i tre piccoli rampolli dell’alta borghesia che compongono frasi in italo-francese vivono a Parigi con la mamma (Céline Sallette) e il suo nuovo compagno, dal cui avvento è derivata una conversione di gruppo alla religione ortodossa. Quando vengono prelevati dall’immaturo e istrionico papà Carlo (Riccardo Scamarcio) per una settimana bianca che diventa una vacanza a Sabaudia da condividere con la sua compagna sceneggiatrice Benedetta (Alba Rohrwacher), cercano di cavarsela come possono. Anche ricorrendo alla fede. «Ginevra conosce la religione ortodossa, ci è cresciuta – spiega la co-sceneggiatrice Chiara Barzini – Ci divertiva l’idea di raccontare bambini che crescono in un ambiente rigido, con un senso morale forte e l’idea del peccato molto presente, nelle mani di un padre ateo a cui questo aspetto dei figli fa addirittura impressione». «Per loro la religione ortodossa ha una qualità tranquillizzante – aggiunge la regista – Quando sono in difficoltà tornano alla preghiera e agli altarini, che vivono come coperte rassicuranti».
Il titolo Magari, invece, evoca i desideri infantili: «In quella parola c’è il sentimento che pervade il film, la felicità mista alla malinconia – spiega Ginevra Elkann – Alma sogna che papà e mamma si rimettano insieme ma ha a che fare con adulti imperfetti». Il fragile Jean, invece, alle prese con i problemi derivati dal suo diabete, sogna di essere L’uomo da sei milioni di dollari, un’aspirazione “d’epoca” per un film ambientato nel 1990: «Un momento in cui si sente tutto l’eco degli anni 80. L’inizio della fine».
Ultimo aggiornamento: Giovedì 28 Novembre 2019, 08:17
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