La laurea? In Italia vale poco più di un diploma. A meno che non si punti sulle Stem

La laurea? In Italia vale poco più di un diploma. A meno che non si punti sulle Stem
Ha senso prendere una laurea in Italia? Dipende dalla disciplina. E anche se,, nel nostro Paese, il numero dei giovani laureati stia pian piano recuperando terreno sulle altre grandi Nazioni del mondo, ci si chiede se forse non avrebbero fatto meglio a fermarsi prima, al diploma. Tanto, a conti fatti, gli anni spesi tra libri ed esami universitari non è che ripaghino sempre adeguatamente. Eccola una delle principali lezioni che si possono ricavare dal Rapporto OCSE “Education at glance 2019”, di cui Skuola.net riporta i passaggi salienti.

Con le STEM quasi certi del lavoro, ma in pochi ci credono

Vero è che in Italia sta aumentando la quota di giovani – tra i 25 e i 34 anni – che hanno un titolo di studio di livello terziario (almeno una laurea triennale): nel 2018 ha raggiunto il 28% (il 34% nel caso delle ragazze). Ma ciò non si traduce in un miglioramento delle prospettive lavorative: nella stessa fascia d’età il tasso di occupazione si ferma al 67% (se si allarga l’indagine ai 25-64enni, dove i laureati scendono al 19%, l’occupazione è all’81%).

La ragione? Scelte non proprio in linea con le esigenze del mercato, che richiede sempre più specialisti in discipline tecnico-scientifiche (peraltro non in tutte). Ad esempio, nel nostro Paese il tasso d’impiego di un laureato in ingegneria, nell’industria manifatturiera e nell’edilizia (tra i 25 e i 64 anni) è dell’85%. Quello di un laureato nel campo delle tecnologie informatiche e della comunicazione arriva addirittura all’87%. Peccato che, all’interno della stessa platea, appena il 15% è in possesso di un titolo del genere. E tra le nuove generazioni – 25-34 anni – teoricamente ancora in tempo per intraprendere il percorso migliore, si sale di pochissimo: ci si ferma al 17%.

Un popolo di umanisti…disoccupati

Al contrario, il tasso di occupazione è inferiore per chi si laurea nelle discipline artistiche (72%) o umanistiche (78%), analogamente ad altre discipline STEM (scienze naturali, matematica e statistica, al 78%). Ma, guarda caso, l’Italia registra la seconda quota più alta (29%) in tutta l’area OCSE proprio di adulti laureati nelle discipline artistiche e umanistiche, in scienze sociali, giornalismo e nel settore dell’informazione: le sceglie il 31% dei neo-laureati.

Lo stipendio di un laureato? Col diploma si guadagna poco di meno

Poche occasioni di lavoro che si traducono anche in salari non eccezionali. Una laurea dovrebbe essere il trampolino di lancio non solo per una carriera lavorativa brillante ma anche per guadagni migliori. Invece, da noi, gli adulti con un’istruzione terziaria guadagnano ‘solo’ il 39% in più rispetto agli adulti che si sono fermati al diploma di maturità (o comunque a un livello d’istruzione secondario superiore). Laddove la media OCSE si attesta al 57%. Peggio di così non si può? Tutt’altro.

Le differenze di genere si fanno sentire anche tra i neo-laureati

Gli incentivi per completare un’istruzione terziaria, infatti, sembrano essere ancora più scarsi per i giovanissimi: tra i 25-34enni, il vantaggio in termini di reddito portato da una laurea si pianta al 19%, esattamente la metà rispetto alla media nell’area dell’OCSE (38%). Inoltre, la distribuzione della ‘ricchezza’ è ancora nettamente sbilanciata tra uomini e donne: le donne guadagnano in media il 30% in meno rispetto agli uomini (ma la media OCSE non è tanto migliore 25%), il 36% nella fascia d’età 35-44 anni.

Laurea, più costi che benefici?

E pensare che, per trovarsi in questa bizzarra situazione, gli italiani pagano al sistema universitario cifre molto più elevate che in tanti altri Paesi europei. In media, parliamo di oltre 1700 euro l’anno per le lauree di primo livello, di 1900 euro per le lauree di secondo livello e di circa 450 euro per i dottorati. Per trovare esborsi simili bisogna andare nei Paesi Bassi o in Spagna. A superarci, in Europa, solo il Regno Unito e la Lettonia. Rette universitarie che, per fortuna, nell’ultimo decennio sono aumentate meno che in altri Paesi OCSE, mentre è salita la quota di studenti che ricevono aiuti finanziari e borse di studio sotto forma di esenzione totale dalle tasse universitarie (dal 17% al 39%).

Italia ai vertici per numero di NEET

Quasi comprensibile che, di fronte a un quadro del genere, un giovane si scoraggi. L’Italia, infatti, tra tutti i Paesi dell’OCSE si colloca al terzo posto per numero di NEET, ragazzi che non lavorano, non studiano e non frequentano un corso di formazione. Tra i 18-24enni sono il 26% del totale (rispetto alla media OCSE del 14%). Una percentuale che non viene abbassata più di tanto da un titolo di studio migliore: tra i 25-29enni, quando inizia la vera transizione tra formazione e mondo del lavoro, l’Italia registra la terza quota più elevata di NEET con un livello d’istruzione terziaria, che si attesta al 23% rispetto alla media OCSE dell’11% (siamo secondi solo a Grecia e Turchia); tra chi, nella stessa fascia d’età, ha un titolo d’istruzione secondario superiore o post-secondario non universitario è di poco superiore: 28%.
Ultimo aggiornamento: Giovedì 12 Settembre 2019, 17:27
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