Salvini tra paura del flop e sirene forziste si gioca la leadership futura

Salvini tra paura del flop e sirene forziste si gioca la leadership futura

di Mario Ajello
Al lieto fine, Matteo Salvini ci crede e non ci crede. Anche lui, come s'è visto nel Facebook live di ieri sera, si mostra ottimista. Ma aggiunge: «E anche realista». O perfino sfascista, come sospetta qualcuno? Lui come altri nella Lega dà un 50 e 50 di percentuali sulla riuscita o sul fallimento dell'esperimento grillo-leghista. Il fatalismo e la residua convinzione si mescolano in Salvini, secondo un ragionamento così: comunque vada, bisognava provarci. Anche perché - ripete sempre in queste ore il capo del Carroccio - «io so benissimo che il percorso più lineare sarebbe stato quello di avere l'incarico da Mattarella per fare il premier in prima persona».

Con il centrodestra più l'aggiunta di altri voti da trovare. Berlusconi l'altra mattina lo ha ricordato ancora una volta: «Matteo, ti sei infilato in un percorso tortuosissimo, dovevi starmi a sentire». Risposta: «Presidente, evidentemente non io, ma Mattarella, non ti è stato a sentire». E comunque, Salvini sta ballando una danza che potrebbe portarlo a schiantarsi. Perché ha molto da perdere il leader lumbard, nel caso la quadra giallo-verde non riesca a trovarsi. Indebolirebbe, per cominciare, la sua fama di vincente, e in effetti non ne ha sbagliata una in questi anni Salvini. Ma anche un super-eroe, si veda il caso Renzi, quando inizia a inciampare rischia di continuare a farlo. Ma per ora il capitale di forza del guidatore del Carroccio è assai cospicuo e difficile da dilapidare.

Un suo punto debole (ma per altri versi è un punto di forza) è che la Lega è un partito tradizionale, strutturato, pieno di amministratori, con molto personale politico di base, ma non ha quasi rapporti con il mondo delle competenze vicine alla politica ma non interne alla politica, dove si possano trovare eccellenza capaci d'incarnare la figura di premier. Se così non fosse stato, lo stallo dovuto all'assenza di Mister X o del Terzo Uomo da mandare a Palazzo Chigi non ci sarebbe. E Salvini avrebbe avuto una motivazione più forte nel credere a questa operazione, e a resistere alle sirene berlusconiane. Molto attive. Che vellicano Salvini e Salvini, sia di notte sia di giorno, tenendo Berlusconi sempre infornato di ogni suo passo, le vellica a sua volta.

LA SUBORDINATA
La sua strategia subordinata e più conveniente è quella del riabbraccio con Forza Italia e con Fratelli d'Italia, partiti con cui guarda caso non ha rotto affatto, corsa al voto ad ottobre nella speranza che nasca nel frattempo il governo neutrale di Mattarella e vittoria oltre il 40 per cento, cioè maggioranza dei seggi in Parlamento, insieme all'alleanza classica. Rinforzata da un Berlusconi di nuovo in campo e da una crescita del Carroccio che ogni sondaggio certifica. Ma per ora. Perché l'incartamento con i 5 stelle Salvini poterebbe pagarlo sia a livello di opinione pubblica sia dentro al partito. La sua è una leadership molto solitaria. Che va bene quando tutto va bene. Se qualcosa non va per il verso giusto, e il dialogo con M5S si presta alle complicazioni, la solitudine del comando può essere rimproverata al suo titolare. E figure di spicco - da Zaia a Maroni e soprattutto Giorgetti, l'unico leghista ben visto al Quirinale perché considerato il meno nemico della Ue - non mancherebbero per un eventuale redde rationem.
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 16 Maggio 2018, 08:36
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