Governo, la scommessa del premier: più forte senza numeri due

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di Marco Conti
«Si fa, perchè tranne Bannon questo governo lo vogliono tutti». Dopo l'endorsement di Donald Trump a Giuseppe Conte, al Nazareno c'è chi ha voglia di ironizzare. Alla fine anche Luigi Di Maio se ne è fatta una ragione perché «non ci sono alternative». Eppure Matteo Salvini continua a indicarne una. Ovvero la strada delle elezioni anticipate che per il M5S sarebbero un massacro e per il Pd di Zingaretti una sconfitta non compensata dal cambio dei parlamentari dem.

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LA SFIDA
E così, seppur tra molti strattoni, si sta arrivando al giorno dell'incoronazione di Conte che, per avere il numero 2 accanto al cognome e non il bis, dovrà cambiare passo e dirigere veramente la politica del governo. Lo schema del tridente - due vice e un premier che esegue - non ha funzionato nel governo gialloverde e anche per Conte sarebbe un errore ripeterlo. E' per questo che, malgrado le cautele legate alla vigilia dell'incarico, Conte non si è particolarmente speso nei confronti di Di Maio nel vertice notturno di lunedì sera con i Dem Zingaretti e Orlando. Ieri pomeriggio, dopo il via libera dato a Conte dal capogruppo del Pd Graziano Del Rio, il muro del Nazareno nei confronti del leader grillino - che vorrebbe tornare al governo con un ruolo da vice - risulta altissimo. «Un solo vice e del Pd», sostengono per tutta la giornata al Nazareno. Lo scontro perde quota solo verso sera quando da palazzo Chigi arriva un «tutti o nessuno» che, tradotto, significa «o Zingaretti e Di Maio come vice, o nessuno». Una soluzione che, vista l'indisponibilità del segretario del Pd ad entrare al governo, finirebbe con il tagliare fuori l'attuale ministro dello Sviluppo Economico.

Per ora la questione resta sospesa, ma la partita vera degli incarichi inizierà solo dopo l'incarico che Conte potrebbe ricevere giovedì mattina. Da quel momento il testimone della crisi passa nelle mani di Conte che il Pd considera a tutti gli effetti come il più autorevole rappresentante del M5S nel governo. Anche se al Nazareno c'è chi non nasconde la preoccupazione per la tenuta del M5S a seguito del declassamento di Di Maio, ma per il Pd la «discontinuità» passa anche da qui.
 


E' per questo che ieri pomeriggio Conte dovuto intervenire nuovamente per sbloccare la trattativa diradando i dubbi dei Dem sulla «brama» di poltrone da parte di Di Maio. Non è la prima volta, dopo il discorso al Senato, e conferma la volontà di Conte di svolgere un ruolo più da leader, non giocando soltanto di rimessa come accaduto con il governo gialloverde. L'interlocuzione diretta, avviata da Conte con Zingaretti e da quest'ultimo con Casaleggio e persino con Grillo, segna un cambio di passo che però rischia di appannare non poco la leadership di Di Maio. La inusitata compattezza mostrata dal Pd contro l'incarico di vicepremier per il leader grillino, e l'altrettanta forte resistenza dello stato maggiore M5S, sembra però l'antipasto non tanto benaugurante per l'esecutivo che si appresta a venire alla luce.

I LATI
«Il nostro capo politico è Di Maio e si parla con lui», sostengono a tarda sera i capigruppo M5S Patuanelli e D'Uva. Un segnale al Pd, ma soprattutto a quella parte del Movimento che sempre più rumorosamente critica il leader. Una contestazione che potrebbe esplodere dopo aver avuto la certezza che la legislatura non si interromperà. E' per questo che Conte dovrà gestire con il bilancino anche la distribuzione degli incarichi di governo e frenare le richieste del Pd che chiede pari dignità. Ai Dem dovrebbe essere data l'ultima parola su tre ministeri di peso come Economia, Esteri e Interni sui quali intende vigilare anche il Quirinale. Al Mef sembra difficile un ritorno di Padoan e la conferma di Tria. Si va a caccia di un nome forte in grado di rassicurare mercati e Bruxelles. Alla Farnesina potrebbe andare l'ex premier Paolo Gentiloni, mentre gli Interni potrebbe tornare nelle mani di Minniti qualora Bonafede dovesse rimanere alla Giustizia.
 
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 28 Agosto 2019, 10:50
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