Midterm, Usa alle urne: referendum su Trump. Dem favoriti, ma di poco

Democratici favoriti anche se di poco

di Anna Guaita
Fino a qualche mese fa, i democratici speravano di ripetere alle elezioni di oggi lo stesso en plein del 2006, quando un elettorato stanco del presidente repubblicano George Bush consegnò sia la Camera che il Senato in mani democratiche. Ma il sogno dell'onda blu democratica, che spazzava via il rosso che dal 2012 regna nelle due Camere con i repubblicani, si è andato affievolendo, e a poche ore dall'apertura dei seggi nelle elezioni di midterm, i sondaggi facevano capire che al massimo i democratici possono riprendersi la Camera, e anche quella a fatica. Se lo scorso agosto infatti fra dem e rep c'era uno scarto di 14 punti, ora siamo a soli 7, con il 50 per cento dei probabili votanti che dice di preferire i dem e il 43 che andrebbe invece con i rep.

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I DUBBI
Ma si deve credere ai sondaggi? Dopo il buco nell'acqua del 2016, quando Donald Trump ha strappato la presidenza alla scontata Hillary Clinton, tutti li prendono con le molle. Bisogna infatti vedere se la gente che ha risposto alle domande andrà davvero a votare o no. Certo, l'entusiasmo - sempre secondo i soliti sondaggi - è alle stelle: i democratici dicono di essere «molto interessati» al voto nell'85 per cento dei casi e i repubblicani nell'82: «Non abbiamo mai visto questo tipo di numeri per elezioni di metà mandato» dice il sondaggista repubblicano Bill McInturff. C'è effettivamente un bello scarto di tasso di entusiasmo perfino rispetto alle presidenziali del 2016: allora solo il 72 per cento si diceva «molto interessata».

Eppure, guardate i numeri: in quell'anno di elezioni presidenziali 200 milioni dei 241 milioni di aventi diritto al voto si erano registrati per andare alle urne, ma poi ce ne andarono per davvero solo 124 milioni. Non è impossibile che anche domani si verifichino simili diserzioni.

I COMIZI
Per questo Donald Trump e i suoi figli stanno battendo gli Stati in bilico da cinque settimane con decine di comizi. Per questo, sia Barack Obama che il suo vice Joe Biden, sono di nuovo comparsi sul palcoscenico, e anzi tutti e due hanno perso la voce a forza di tenere comizi per sostenere il partito democratico. Centinaia di milioni sono stati spesi in queste elezioni che passeranno alla storia come le più costose in assoluto. Si devono rieleggere i 435 deputati, 35 dei 100 senatori e 36 dei 50 governatori. Si pensi che sommando quello che hanno speso i singoli candidati, quello che hanno messo sul piatto i due partiti, e soprattutto i favolosi contributi dei gruppi di pressione, queste elezioni supereranno i cinque miliardi di dollari.

Il record di gara più costosa, quanto alle tasche dei due candidati, va alla Florida, dove il governatore uscente Rick Scott sfida il democratico Bill Nelson per il seggio senatoriale. Nelson è già stato eletto e confermato due volte al Senato, e questa sarebbe la terza, ma il suo seggio è stato indicato come uno di quelli a rischio per i dem. Scott e Nelson hanno riversato 160 milioni nella campagna. Al secondo posto come seggio caldo è quello che la democratica Claire McCaskill potrebbe perdere in Missouri davanti alla sfida del repubblicano pro-Trump Josh Hawley, e qui i due hanno speso 108 milioni di dollari.

LE RIFORME
Conservare il Senato, dove hanno una maggioranza di 51 a 49, è infatti per i repubblicani di capitale importanza per poter continuare le loro riforme conservatrici e confermare le nomine di ogni funzionario, e soprattutto dei giudici federali e di quelli della Corte Suprema. I democratici potrebbero comunque cantare vittoria se riprendessero la Camera, perché userebbero le varie Commissioni per aprire inchieste su Trump, il suo patrimonio, i suoi rapporti finanziari con gli oligarchi russi, tutte inchieste che finora i repubblicani si sono rifiutati di iniziare.
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 7 Novembre 2018, 01:15
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