Neri Marcoré: «Tango del calcio di rigore, perché così parliamo alle coscienze»

Neri Marcoré: «Tango del calcio di rigore, perché così parliamo alle coscienze»

di Silvia Natella
«Ognuno di noi affronta nella vita vari calci di rigore». Neri Marcorè usa la metafora calcistica per parlare dello spettacolo che porterà in scena al Brancaccio di Roma dal 15 al 19 gennaio. Il riferimento al pallone è nello stesso titolo della pièce, scritta e diretta da Giorgio Gallione e prodotta dal Teatro Nazionale di Genova, con - tra gli altri- Ugo Dighero e Rosanna Naddeo. Tango del calcio di rigore racconta una delle pagine più buie della nostra storia recente. Le musiche di Astor Piazzolla, Mercedes Sosa e Paolo Silvestri fanno da sottofondo alla vicenda dei Desaparecidos e ai Mondiali del 1978 in Argentina. Tra mito e inchiesta si ripercorre il rapporto tra lo sport e le dittature sudamericane.

Uno spettacolo che parla alle coscienze
«Non può lasciare indifferenti perché è fatto di emozioni forti. Chi si opponeva alla dittatura pagava con le torture e con la vita, mentre gli interessi economici attorno al calcio spingevano gli altri Paesi, Italia compresa, a girare lo sguardo. Questa è la parte drammatica dello spettacolo, che però ha anche momenti di alleggerimento come quello del racconto di Soriano sul rigore più lungo del mondo».

Il calcio ha sempre distolto l’attenzione dai problemi. È ancora così?
«Ha sostituito la religione come oppio dei popoli ed è un narcotico sociale. Penso che non possa trasformarsi in altro. C’è gente che non ha altre soddisfazioni se non quella di tornare a casa e vedere una partita. Dove girano tanti soldi c’è qualcosa da denunciare, però c’è anche una chiave metaforica. A volte ti ritrovi ad avere il ruolo di chi deve tirare un rigore e non deve sbagliare e a volte sei il portiere che deve cercare di intercettare la palla. Per quanto riguarda me, c’è sempre qualche progetto da sperimentare e da affrontare».

E ora c’è qualcosa di nuovo a cui sta lavorando?
«Al momento niente di particolare, continuo a muovermi su vari territori. La cosa che mi guida è sempre quella di dare vita a progetti che io stesso vedrei e nei quali possa credere».

Era quello che sognava quando era bambino nelle Marche?
«Pensavo di fare l’interprete perché mi sarebbe piaciuto tradurre libri. Mi ci sono ritrovato per caso a fare questo mestiere. Ho avuto la fortuna di cominciare direttamente in tv e la bontà di crederci e di investirci. Ho sfruttato quella spinta iniziale che è arrivata un po’ per caso per poi spostare il timone verso le acque che più preferivo».

È famoso per la sua versatilità e ha confidenza con ogni mezzo. Che rapporto ha, invece, con i social?
«Ho una sorta di pudore e penso che non sia necessario pubblicare i propri pensieri. I social hanno fornito a ognuno di noi una visibilità e un canale diretto. Io non ne sento la necessità e non credo che la gente non viva senza sapere cosa penso io o cosa faccio quel giorno lì. Il mio rapporto con i social nasce dal mio atteggiamento che non ha questa presunzione, poi un conto è informare chi ti segue su quello che fai. Ci sono comunque altri modi per conoscere questo. L’altro aspetto è che credo che siano anche impegnativi. È una sorta di impegno che prendi nei confronti di chi ti segue, quindi se tu non hai voglia di scrivere o sparisci è come se fosse un tradimento o un mancato appuntamento. Nella vita ci sono tante cose da fare nel corso della giornata. Ci vorrebbe una giornata apposta per il rispetto che meritano le persone che ti scrivono. Non sono sui social perché non sarei in grado di seguirli nella maniera migliore.

C’è qualcosa che ha fatto in passato e che vorrebbe riproporre per il suo valore sociale o culturale?
«Sicuramente ci sono spettacoli teatrali che riproporrei, perché gli spettacoli televisivi vivono nell’epoca in cui vengono messi in onda, poi non ha senso riproporli nello stesso modo. Ci sono spettacoli senza tempo perché legati a messaggi o riflessioni, ad artisti che hanno saputo farsi domande. Penso a Gaber che resta sempre molto attuale, così per lo spettacolo “Quello che non ho”, al quale si accostava il pensiero di Pasolini e di Fabrizio De Andrè. Si parlava anche molto di ambiente e di plastica. Cose che sono diventate molto attuali, poi al di là di questo a me piace sempre cambiare».

Tango del calcio di rigore, Teatro Brancaccio, Via Merulana, 244 Roma -  06 80687231
da mercoledì a sabato ore 20.45 /domenica ore 17, prezzi da 28,50 a 39 euro
Ultimo aggiornamento: Martedì 14 Gennaio 2020, 14:35
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