Roma, il poliziotto che ha salvato l'uomo che voleva gettarsi dal quinto piano: ​«Ne avevo salvati altri, ma non sono un eroe»

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di Camilla Mozzetti
Il segno di quel salvataggio ce l’ha impresso sulle dita della mano sinistra: graffiate e fasciate dai cerotti. Per Francesco, entrato in polizia nel 2004 dopo tre anni nei paracadutisti e fin dall’inizio nel reparto volanti prima a Milano e poi a Roma, è un giorno migliore: «Ho salvato una persona ma non mi sento un eroe, è il mio lavoro, lo sognavo fin da bambino». Con sguardo placido, paradossalmente sommesso, ricostruisce quegli attimi concitati nei quali, con la sola forza delle braccia, ha salvato un giovane dalla morte. 
 


Agente Macaluso, la prima immagine che ha scorto arrivando in quel terrazzo?
«Questo ragazzo in bilico sulla balaustra che minacciava di gettarsi nel vuoto».

Qual è stato il suo primo gesto?
«Insieme ad altri colleghi abbiamo iniziato a parlargli per creare un contatto, frasi apparentemente semplici che sono state però d’aiuto: “Come ti chiami?”, “Non ti preoccupare, si risolve tutto”; grazie a un agente che dal terrazzo limitrofo lo ha distratto, siamo riusciti a raggiungerlo ma a quel punto si è gettato».

E lei lo ha afferrato per i jeans.
«Sì, ma ho sentito i pantaloni strapparsi e ho creduto, vedendolo così magro, che potessero sfilarsi. Per questo con la mano con cui mi tenevo alla balaustra, l’ho preso per la cintura, il giovane opponeva resistenza, continuava a lasciarsi andare».

Sarebbe potuto cadere anche lei, non ha avuto paura?
«C’era il rischio ma in quel momento non pensavo a nulla, solo al modo per metterlo in salvo, i miei colleghi, tra cui Marco Mele del commissariato San Lorenzo, lo hanno afferrato insieme a me».

È il primo salvataggio che compie?
«No. È il quinto caso, tutti uomini. Un episodio analogo l’ho vissuto a maggio del 2015 e per quell’intervento ho avuto una promozione per meriti straordinari ma non mi sento straordinario, è quasi routine. Faccio il mio dovere, copro zone difficili come San Basilio, che conosco molto bene. Tanti sono gli interventi come questo che passano in sordina».

Dov’è cresciuto?
«Sono nato a Palermo ma a pochi mesi con la mia famiglia siamo arrivati a Roma e fino ai 18 anni ho vissuto a Torre Angela (una delle periferie di Roma ndr), tra i miei amichetti c’erano bambini con drammi famigliari. So cosa significa vivere nel disagio. Credo che questo mi abbia aiutato. 

Perché è entrato in polizia?
«Quando giocavamo a “guardia e ladri” facevo sempre il poliziotto era il mio sogno di bambino e l’ho realizzato. La mia vita è questo: i miei figli, il lavoro e lo sport, pratico bodybuilding. Forse (sorride) senza l’allenamento quel ragazzo non sarei riuscito a tenerlo».

Cosa l’aiuta nel suo lavoro?
«I miei figli di 6 e 11 anni. Tornare da loro la sera».

Il Questore, Guido Marino, si è congratulato con lei e con i suoi colleghi, le ha fatto piacere?
«Certo, ma le confesso: la cosa più bella sono stati gli applausi delle persone in strada quando abbiamo tirato via da quel cornicione il ragazzo. Quei gesti sono stati la soddisfazione più grande».
Ultimo aggiornamento: Giovedì 19 Aprile 2018, 11:28
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