Emanuele è morto di Coronavirus: panico tra i 4000 colleghi del Call Center: «Nessuno ci ha detto nulla, non hanno fermato il lavoro. Abbiamo paura»

Emanuele è morto di Coronavirus: panico tra i 4000 colleghi del Call Center: «Nessuno ci ha detto nulla, non hanno fermato il lavoro. Abbiamo paura»

di Francesco Balzani
Emanuele Renzi è morto a 35 anni. Con e di Coronavirus. È il primo deceduto a Roma sotto i 40 anni per questo maledetto coronavirus. Emanuele lavorava  in un call center da 2000 dipendenti che si trova in una struttura da quasi 4000 in cui si trovano outbound e inbound (chiamate di promozione in uscita e in entrata) di distribuzione Tim, Sky, Poste e Comune di Roma.

L’azienda si chiama Youtility center srl e si trova in via Faustiniana, traversa di via Tiburtina nei pressi di Settecamini. La morte di Emanuele ha gettato nel panico tutti i suoi colleghi, ma oltre alla paura sta esplodendo la rabbia per comunicazioni non date o date con superficialità, misure di sicurezza minime e un assurdo ostinarsi di far lavorare i dipendenti fino a ieri.

Leggo ha parlato con una dipendente della Youtility che chiameremo Francesca (nome di fantasia), che ha lavorato con Emanuele e ora si trova in una condizione di auto-quarantena, nel senso che si è dovuta mettere in malattia spontaneamente per preservare sé stessa e i suoi colleghi.

Innanzitutto, come sta?
«Fisicamente bene, ma sia io che mio marito viviamo giorni ansia. Il numero verde ci ha riferito che fino al 25 marzo siamo a rischio, ovvero per 14 giorni dall'ultimo giorno di lavoro di Emanuele. Siccome non esiste la dichiarazione di quarantena non esiste il codice di protocollo per la quarantena preventiva, e il mio medico curante non ha potuto prendere i provvedimenti sanitari del caso né possiamo sottoporci al tampone. Al momento sono in malattia per influenza intestinale».  

Fino a quando avete lavorato?
«Io fino alle 22,30 di domenica sera ero al mio posto. Nei giorni scorsi hanno fatto lavorare da casa i dipendenti a tempo indeterminato o li hanno mandati in ferie forzate mentre noi che siamo determinati abbiamo lavorato regolarmente e senza mascherine per prenderci ora un calcio nel sedere. Negli ultimi 5 giorni almeno avevano fatto rispettare le distanze di sicurezza, ma i team leader dell’azienda non sempre le rispettavano. Anche i vari spray o prodotti d’igiene come l’Amuchina sono comparsi solo nell’ultima settimana di lavoro. Ci pulivamo il tavolo da soli con i fazzoletti». 

Nessuno vi ha messo in allarme?
«Nessuna dichiarazione ufficiale. Pure il bar era rimasto aperto. Sul gruppo Whatsapp ci è arrivata la comunicazione ufficiosa di andare oggi (23 marzo) a ritirare il pc e di uscire immediatamente. Senza aggiungere altro. So che il 22 in sede girava qualche capo, che sala per sala ha chiesto ai capicommessa i nomi di chi fosse in malattia dicendo “a loro non rinnovo il contratto”. Senza nemmeno sapere se sono soggetti a rischio. Surreale». 

Lei conosceva Emanuele?
«Sì, anche se non ero a stretto contatto con lui. Era uno dei leader, e di conseguenza aveva rapporti con molte persone all’interno dell’azienda. So che era stato a Milano di recente e che ha lavorato qui fino a metà marzo. Nessuno dell’azienda ci aveva detto cosa avesse fino alla terribile scoperta». 

Secondo lei ci sono altri contagiati?
«Mi sembra improbabile pensare che non sia così. Alcune aziende molte più piccole della nostra hanno chiuso o invitato i propri dipendenti allo smart working anche senza avere casi. Noi abbiamo continuato a lavorare e siamo quasi 4000 persone. E considerate che quasi metà del nostro personale nei giorni scorsi aveva fatto su e giù da Napoli come pendolari. Non mi stupirei se dovessero uscire in queste ore altri casi. Ma io dico: ci voleva il morto per fermare tutto e fare i controlli?»

Ieri c’è stato un sopralluogo della Asl?
«Sì, è stata fatta una ulteriore sanificazione ed in teoria da domani qualcuno potrebbe tornare a lavorare. Ma io non ci andrò, a costo di perderlo. Prima viene la salute». 

Viste le tantissime proteste anche sui social l'azienda ha dato la sua versione dei fatti, con una lettera inviata ai sindacati Slc-Cgil, Fistel Cisl, Uilcom-uil, Ugl telecomunicazioni. “Il collega non ha più effettuato accesso alla struttura dal giorno 9 marzo - si chiarisce nella nota - e non appena informati dalla famiglia del sospetto contagio abbiamo provveduto, in ottemperenza del protocollo, ad attenzionare i colleghi del reparto in cui operava e le persone con le quali avrebbe potuto avere contatto diretto o ravvicinato. Non avendo avuto comunicazione ufficiale del motivo del decesso - conclude - e non essendo stati informati direttamente dall'azienda sanitaria probabilmente a causa dell'emergenza in atto per  la quale si trovano a gestire un lavoro straordinario, abbiamo provveduto noi a contattare le strutture di competenza per condividere le azioni che autonomamente e preventivamente abbiamo adottato e per aver indicazioni su qualche altro provvedimento eventuale che dovremmo adottare".  



Anche la Regione Lazio con una nota invita alla calma. “Dalle prime notizie acquisite dall'indagine epidemiologica svolta dal servizio di prevenzione della Asl Roma 2 emerge che il ragazzo era stato a Barcellona dal 6 all’8 marzo e il 9 marzo è stato il suo ultimo giorno di lavoro” si legge. “Poi si era posto in auto isolamento, ha mostrato i primi sintomi di febbre il giorno 11 e il 16 è stato trasferito, su indicazione del suo medico, in ambulanza e ricoverato al Policlinico di Tor Vergata dove entrava in terapia intensiva”.

Un solo giorno di lavoro da contagiato quindi, secondo quanto comunica l'azienda sanitaria. Per domani è previsto comunque un sopralluogo sempre da parte della Asl Roma 2 in via Faustiniana, con una prima relazione sull’indagine epidemiologica.
Ultimo aggiornamento: Lunedì 23 Marzo 2020, 19:17
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