Cristoforo Trapani, lo chef: «Ero ultimo all'alberghiero. Ora che rivincita la stella Michelin»

Cristoforo Trapani, lo chef: «Ero ultimo all'alberghiero. Ora che rivincita la stella Michelin»

di Rita Vecchio
È l'anima del ristorante Magnolia dell'Hotel Byron a Forte dei Marmi. Cristoforo Trapani, chef stellato di origine campana, ha conquistato la prima stella a 27 anni.
La passione per i fornelli è nata per caso?
«Credo di averla nel Dna: i miei genitori avevano un negozio di frutta e verdura e io fin da piccolo ho cominciato a toccare con mano la materia prima. Mio nonno era cuoco e quando andavo al ristornate dei miei amici non facevo altro che andare a curiosare in cucina».
Poi?
«Ho fatto l'alberghiero ma di studiare non avevo nessuna voglia. A mia madre - disperata - dissi di non preoccuparsi perché le avrei dato altre soddisfazioni. Ero infatti certo di volere fare questo lavoro e ad alti livelli. Mio padre, invece, vedendo che ero svogliato mi disse di no quando gli chiesi i soldi per frequentare all'Alma di Gualtiero Marchesi. E pensare che ora ci insegno».
E cosa fece?
«Sono andato a lavorare per alcuni mesi in Algeria con mio zio per mettere i soldi da parte e potermela pagare da solo. Una volta tornato in Italia, il destino ha voluto che Heinz Beck mi prendesse per uno stage. Pensavo fosse impossibile. Fu la svolta. Poi la fortuna di affiancare i più grandi: da Antonino Cannavacciuolo a Moreno Cedroni, da Davide Scabin a Mauro Colagreco, fino al tristellato Yannick Alléno. Da lì un percorso in salita, allora come oggi».
Un percorso in salita ma pieno di punti di arrivo.
«Sono entrato un po' in tutte le Guide con la critica dalla mia parte. Da miglior chef emergente a miglior ristorante di pasta, ai tre cappelli. E la stella nel 2015».
Se l'aspettava?
«La prima stella è come il primo amore: non si scorda mai. Quando fai tanti sacrifici e tante ore di lavoro, è quello che desideri. E fino a che non l'ho vista stampata non ci credevo».
Si è preso delle rivincite?
«Sì. All'alberghiero ero ultimo, ma sono riuscito a fare qualcosa di buono nella vita. Anche se avrei preferito finire la scuola. E a mio padre, che sognava per me un futuro di ufficiale e una carriera sulle navi, ho dimostrato che doveva avere fiducia in me».
Come sintetizza la sua cucina?
«Il piatto che mangeresti ogni giorno».
Progetti futuri?
«Andare in Giappone. Mi incuriosisce molto».
E i tatuaggi culinari che ha stampati sulla pelle?
«C'è la stella, ci sono gli ingredienti del cuore: polpo, aglio, limone, pesce, carciofo, pomodoro. E due cappelli, ma ora devo fare il terzo».
Una frase che si porta dietro?
«Quella che mi disse Enzo Ferrari: se puoi sognare, allora lo puoi fare. Aveva ragione lui».

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Ultimo aggiornamento: Venerdì 22 Febbraio 2019, 09:04
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