Video#bomb blast in #Manbij, #Syria, which reportedly has caused several US casualties. pic.twitter.com/edYB2U0U0p
— Deepak (@Deepak855561) 16 gennaio 2019
Gli Stati Uniti guidano dal 2014 la campagna militare anti-Isis portata avanti da una Coalizione di numerosi paesi. Nella Siria orientale sono stazionati anche militari francesi. E nella zona di Manbij, da alcuni mesi gli americani avevano cominciato a pattugliare la zona assieme a soldati turchi, attestati a ovest dell'Eufrate. Prima di Natale Trump aveva annunciato a sorpresa la volontà di ritirare in tempi molto brevi tutti i soldati, affermando che l'Isis «è stato sconfitto». La decisione di Trump non era stata condivisa da tutti gli ambienti dell'amministrazione e aveva spinto alle dimissioni sia il segretario alla difesa Jim Mattis sia l'inviato speciale Usa per la Coalizione, Brett McGurk. Gli stessi curdi del Pkk siriano, sentitisi «traditi» da Trump, si erano rivolti subito dopo alla Russia - che assieme all'Iran mantiene truppe a sud dell'Eufrate - e al governo di Damasco, che per decenni ha discriminato le comunità curdo-siriane.
In questo quadro, all'inizio di gennaio erano arrivate proprio a Manbij sia la polizia militare russa che un'avanguardia di forze governative siriane.
L'attentato odierno è il primo del suo genere contro soldati americani. Dal 2015 a oggi solo altri quattro militari Usa erano morti in Siria: il primo nel novembre del 2016 in seguito all'esplosione di un ordigno improvvisato a nord di Raqqa; altri due per cause non legate a scontri armati; mentre un quarto era morto nel marzo dell'anno scorso in un'esplosione proprio nella zona di Manbij. Intanto nel sud-est del Paese l'Isis non sembra sconfitto. E continua ancora a controllare una sacca ristretta di territorio tra l'Eufrate e il confine iracheno. E la Coalizione a guida Usa anche oggi ha condotto raid aerei a sostegno delle forze curde e arabe locali.
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 16 Gennaio 2019, 23:43
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