Eugenio Boer: «Io, vagabondo e libero, cucino senza menu»

Eugenio Boer: «Io, vagabondo e libero, cucino senza menu»

di Rita Vecchio
Un enigma la pronuncia. Così, per evitare dubbi, al suo primo ristorante che ha appena aperto a Milano, Eugenio Boer, il cognome lo mette per esteso. , con la u lunga. Quarantenne italo-olandese, è lo chef che un po' per le origini, un po' per carattere non ha radici. Nei piatti. Ma anche nelle scelte: prende la stella e lascia subito dopo il ristorante Essenza per incomprensioni con la proprietà. Senza paura di ricominciare. «Sono testardo e caparbio. Ho sempre saputo cosa volevo».



Quando ha iniziato a cucinare?
«A tre anni (ride, ndr), con la pasta fresca di mia nonna o la focaccia, non a caso uno dei miei insostituibili a tavola. Abitavo in Olanda e lì non era facile trovare cibo italiano, quindi si faceva tutto in casa».

Lei è un po' girovago.
«Non ho radici e non conosco il concetto del ritorno a casa. Sono in continuo viaggio. Le mie radici non sono un luogo, ma le persone che lo riempiono. Ho la curiosità di un bambino. Pensi che un giorno a Londra ho fatto tre pranzi per la voglia di conoscere tre cucine diverse».

A pensarci bene, lei non ha il menu. Il cliente va a suggestioni.
«Sì. Ho eliminato i piatti. É un'idea nata proprio dal senso di libertà. Di creare aspettative. C'è un concetto di partenza, che può essere la selvaggina, il bosco o altro, e da qui inizia il viaggio. Le mie suggestioni cambiano a seconda della stagionalità e seguono la circolarità del piatto».

La cucina è cambiata?
«Masterchef ha creato piccoli mostri. Ha smosso le coscienze. Ma non bisogna dimenticarsi di essere prima di tutto cuochi».

Chi sarebbero i piccoli mostri?
«I ragazzi che vogliono arrivare senza sacrifici e senza gavetta. Io ci ho messo 22 anni e sto sempre in cucina».

Si è parlato di lei come lo chef che ha preso la stella e che ha lasciato il ristorante stellato dopo appena due settimane.
«Non è stata una scelta facile. La stella ha rappresentato il momento più bello della mia vita. Non perché diventavo famoso, per i soldi o per qualche motivo futile. Ma per il traguardo che avevo raggiunto. Un orgoglio. La Michelin è l'eccellenza. Ma le incomprensioni con la proprietà erano diventate troppe».

Teme conseguenze?
«Cercherò di spiegare tutto. È un rapporto tra me e Michelin. Ho troppo rispetto per il mio lavoro e il loro».

Un messaggio che vuole trasmettere con i suoi piatti?
«Amore per il mio lavoro e far star bene le persone».
Ultimo aggiornamento: Giovedì 14 Febbraio 2019, 18:18
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