Riccardo Di Giacinto: «Io, la cucina, Totti e il brodo asciutto»

Riccardo Di Giacinto: «Io, la cucina, Totti e il brodo asciutto»

di Rita Vecchio
Una passione. Innata e viscerale. Così l'ha definita. Riccardo Di Giacinto, stellato di All'Oro Restaurant, e ideatore del format Madre, di MadeITerraneo e di Terrace Restaurant & UP Sunset Bar al settimo piano della Rinascente di via del Tritone di Roma, non è solo uno chef. Ma anche imprenditore delle sue stesse invenzioni. Non a caso, è suo il The H'All Suite, l'hotel a 5 stelle del ristorante. Un percorso ricco fatto insieme alla moglie Ramona.
Chef per intuizione?
«O per vocazione. Ho iniziato in trattoria quando avevo 16 anni. E ho sentito subito una passione forte. Lì ho capito che sarebbe diventato il mio lavoro. Si figuri che in camera avevo due poster: quello di Ferran Adrià e quello di Totti. Il problema vero è stato comunicarlo a casa».
Perché?
«Non andava di moda fare lo chef. Mio padre Enzo era orafo e voleva che seguissi le sue orme, andando a fare il tagliatore di pietre. Per carattere sono determinato, quindi continuai per la mia strada. Alla fine, visti i risultati, ho avuto ragione. Purtroppo è scomparso prima della stella. Il nome del ristornate All'Oro è in suo onore. E invece mia madre è diventata mia fan».
La trattoria prima, e poi?
«Sono partito per Londra. Il lavapiatti in una pasticceria, poi in cucina da Marco Pierre White. Momenti molto duri. Ma sono le esperienze più difficili che ti portano ai traguardi».
Cosa ricorda?
«Facevo quasi due ore di viaggio in treno per arrivare a casa a chiusura servizio. Per ripartire dopo poco e tornare al lavoro super pulito perché il controllo era da caserma. Finivamo alle 3 di notte di lustrare la cucina. Bastava un capo partita che passando il dito sulla cucina insaponata dicesse che non andava bene, che in 25 persone ricominciavamo».
Alla fine è riuscito a conoscere Adrià e Totti, però.
«A El Bulli, il ristorante dello chef, ho fatto l'esperienza più importante della mia vita. Ricordo che la sera non mi addormentavo per la paura di non svegliarmi in tempo. Se ritardavi un minuto, eri fuori. E per Totti ho cucinato. Ma non ho avuto il coraggio di dirgli nulla».
Un ricordo che la fa sorridere?
«La pacca sulla spalla dello chef del Don Alfonso quando andai via: tu si un cavallerazzo».
E ha aperto il locale di 59 mq ai Parioli.
«Esatto. Dopo due anni la stella».
Cosa è cambiato da allora?
«Solo la location. Più grande. Ma ieri come oggi l'energia viene dai clienti. Sono loro che ascolto. Oltre che mia moglie Ramona, ex agente immobiliare che ha scelto la cucina».
Contemporanea, tradizionale e internazionale.
«La mia cucina. Dai viaggi mi sono portato le tecniche».
Un suo piatto?
«I Cappelletti in brodo asciutto. Asciutto perché il brodo è all'interno della pasta, per questo abbiamo disegnato un cucchiaio bucato color oro con cui servirli ed un piatto a forma di cappello. O il Rocher di coda alla vaccinara e il Riassunto di carbonara».
Alla seconda stella?
«Ci penso».
E alla tv?
«Me lo hanno chiesto. Ma per ora voglio sporcarmi tanto le mani in cucina».
Nuove aperture?
«Ci sono idee. Per ora vanno bene quelle che ho e le 14 suite dell'Hotel, casa per me. Qui gioca nostra figlia Eivissa di 3 anni. Qui passo le mie giornate».

riproduzione riservata ®
Ultimo aggiornamento: Venerdì 27 Settembre 2019, 21:14
© RIPRODUZIONE RISERVATA