Riccardo Camanini: «Ispirato da Roma antica sono finito al Moma»

Riccardo Camanini: «Ispirato da Roma antica sono finito al Moma»

di Rita Vecchio
Per Riccardo Camanini, uscire dal classico sentito dire è consuetudine. Lui prende un'idea e la traduce in piatti sublimi. Una stella Michelin di Lido 84, ristorante che gestisce con il fratello Giancarlo a Gardone Riviera, sul lago di Garda, declina la passione per i libri antichi e per la storia alla cucina. E ne crea piatti che meritano l'esposizione al Moma di San Francisco, come lo Spaghettone con burro e lievito di birra.
Da dove è partito?
«Dall'alberghiero. Quando non mi era chiaro cosa volessi davvero fare. Ero affascinato dall'idea di viaggiare e la cucina poteva essere il modo per farlo. Ho iniziato a 14 anni. In un periodo in cui non si stava benissimo tra i fornelli. Comandava la Francia e noi non ci mettevamo tanta attenzione».
Cosa l'ha fatta restare?
«Gualtiero Marchesi. All'Albereta da lui è stato scioccante. Ho cambiato prospettiva, ho scoperto la passione. Arrivatoci grazie a mio fratello che usciva allora con una ragazza che conosceva la figlia di Marchesi. Per il primo anno ho lavato piatti, ho incontrato una brigata da tutto il mondo, ho cominciato ad ascoltare aneddoti e storie di chi era andato in Francia a lavorare».
Cosa si porta dietro della cucina di Marchesi?
«I sorrisi. Era un cuoco atipico, con un entusiasmo perenne e un'attitudine alla vita curiosa. Essenzialità, leggibilità, linearità dei piatti. E ricordo il tempo che mi ha dedicato, le chiacchiere fuori dagli orari di lavoro».
E i suoi genitori?
«Hanno rispettato le mie scelte. Mio padre operaio e mia madre casalinga che mi cucinava piatti deliziosi e rurali. La pasta non mancava mai. La passione nasce anche da lì».
A proposito di pasta: è vero che la sua cuoce 84 ore?
«Era uno dei tre piatti che ho preparato per il congresso di Madrid Fusión. Uno era l'insolito, una pasta in brodo ambrato preparata con la riduzione lenta dell'acqua di ammollo dei ceci che dopo tre giorni si trasforma e ha un sapore di astice. Una semplicità pazzesca che fece impazzire. E un altro, quello della digeribilità con i Fusilli in bianco. Ragionando sul processo inverso alla cottura della pasta, i fusilli cotti a vapore in forno 12 ore a 85 gradi, poi 12 ore in frigo a 3 gradi. Il processo ripetuto per 7 giorni. Il totale fa 84 ore. É una pasta che ha un pensiero dietro».
Quando le hanno chiesto di rappresentare l'Italia al Moma di San Francisco?
«Una grande sorpresa. Lo Spaghettone non era stato pensato per esporlo. La critica lo ha amato. Ed è finito fra gli 80 piatti più significativi di tutto il mondo».
La cacio e pepe, il rognone: Roma ricorre, come la storia.
«Roma è la radice della gastronomia. Nell'antichità era un popolo ricco. C'è solo da imparare dagli scritti antichi. Uno dei piatti è la pecora frollata all'aria aperta e maturata nella cera d'api. A me piace approfondire, leggere i testi antichi. Come quello di Apicius, un gastronomo del 400 a.C. Ingredienti strampalati, inusuali, tecniche alternative».
La sua filosofia?
«Identitaria, essenziale e semplice. Prende per la gola, la parte più intima dell'artigiano».
Una rivincita?
«Fare il Risotto con le uova, il primo pranzo all'asilo di cui ho un cattivo ricordo (ride, ndr). Sarà nel menu per la riapertura della prossima settimana. E mi prenderò la rinvicita».

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Ultimo aggiornamento: Sabato 30 Novembre 2019, 08:40
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