Federico Dell'Omarino: «Tradizione e coerenza ma vado oltre gli schemi»

Federico Dell'Omarino: «Tradizione e coerenza ma vado oltre gli schemi»

di Rita Vecchio
È uno che sta dietro le quinte. Federico Dell'Omarino, con la sua filosofia di cucina coerente, chiara e piena di sapori, si incontra con il bistellato Antonio Guida, di cui diventa l'executive sous chef. E fa terna vincente, se poi si aggiunge il pastry chef Nicola Di Lena, alla corte del Seta, ristorante all'interno del Mandarin Oriental Hotel di Milano. Originario di San Giustino umbro, alle porte di Città di Castello, sono oramai i quartieri meneghini il suo regno. Il suo sogno? Trascorrere la pensione a Porto Ercole, all'Argentario, con la moglie Marcella.
Come finisce in cucina?
«Mi sono innamorato da piccolo. Passione che arriva da mia mamma, da mia nonna, da mia zia. Tutte donne che passavano tempo tra i fornelli. Durante le giornate di festa soprattutto, non mancavano mai tagliatelle fresche e ragù. Un vero via vai in cucina. Mi ricordo ancora il fascino che aveva per me vedere la crema pasticciera trasformarsi e addensarsi per essere mangiata. Era magia pura per un bambino».
Il suo primo approccio?
«Bruciandomi le manine. Avrò avuto due, tre anni. Probabilmente ero talmente attratto da ciò che si cucinava, dal profumo, dalle luci, che mi avvicinai un po' troppo al forno. Sarà per quello che non sento più dolore quando tocco le portate calde (ride, ndr)».
E poi?
«E poi la scuola alberghiera ad Assisi. I miei furono contenti della scelta, anche se di fatto sono uscito di casa a 14 anni senza più farne ritorno, vivendo in convitto per tutto il periodo delle superiori. Poi le esperienze in giro, Roma, Londra, Parigi».
Un piatto che la riporta all'infanzia?
«Il coniglio arrosto, come si faceva dalle mie parti. Quel sapore lo ricordo ancora. Al Seta lo abbiamo ripreso, e in parte evoluto, abbinandolo al pesce».
Il momento della carriera che ha segnato la linea di confine tra passato e futuro?
«Sicuramente Roma, all'Hotel Eden, ho vissuto il mio primo vero incontro con chef e alta ristorazione. Da Lele Usai a Nino di Costanzo. Ad Antonio Guida. Qui ho capito per la prima volta come funzionava veramente questo lavoro. Per trovare poi a Parigi da Eric Frechon, la mia strada, quella che volevo percorrere. Organizzazione, rigore, il circondarsi di grandi professionisti. Rispecchiava il mio modo di lavorare, lo stesso di adesso con Antonio Guida».
E invece il momento in cui ha capito che si poteva andare oltre?
«Preparando i fusilli con sedano e passion fruit di Pierre Gagnaire. La prima volta mi parse un azzardo, per poi stravolgermi il modo di pensare. Ho capito che potevo andare fuori dagli schemi, senza esagerare».
Un esempio?
«Il Cavolfiore con salsa di latte alle mandorle, yuzu e frutti di mare. Tradizione, coerenza, abbinamenti insoliti ma avvincenti».
Lei, Guida e Di Lena: trio che vince non si cambia?
«Non so cosa sarà. Ma sicuramente siamo molto affiatati: stesso modo di vedere e vivere le cose. Antonio mi ha cresciuto come un figlio. Nel 2020 festeggiamo 20 anni di lavoro insieme di cui 15 con Nicola Di Lena. Siamo tutti e tre rigorosi e organizzati nel lavoro, spiritosi e divertenti nella vita».
E quando non cucina?
«Mi piace andare correre. Ascoltare musica, De Andrè, Pink Floyd, David Bowie. E adoro stare con la mia bimba Olimpia che ha due mesi. È lei che mi ha stravolto in meglio, moltiplicando per cento la mia energia».

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Ultimo aggiornamento: Venerdì 17 Gennaio 2020, 07:58
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