Davide Bisetto: «Piatti orto e laguna con rigore francese»

Davide Bisetto: «Piatti orto e laguna con rigore francese»

di Rita Vecchio
Si definisce un cuciniere. Di quelli che usano la memoria per creare i piatti, mettendo sul fuoco tradizione e tecnica. Di quelli che hanno l'arte. E si sente. Davide Bisetto - chef pluristellato del ristorante Oro sull'isola della Giudecca a Venezia, all'interno dell'Hotel Belmond Cipriani, - dopo avere trascorso tanti anni a Parigi, avere cucinato per Frank Sinatra e Liza Minelli o per George Clooney e la sua Amal Alamuddin, e tutti gli ospiti hollywoodiani nei giorni di festeggiamenti che hanno preceduto il loro matrimonio.
Chef per vocazione?
«Chef praticamente da sempre. Il ricordo che ho è quello dei miei genitori - mia madre casalinga e mio padre operaio - che andavano ad aiutare lo zio che aveva una trattoria. Figli del dopoguerra, negli anni '70-'80 mi hanno trasmesso la cultura del mangiare. Un po' per questo e un po' perché sono golosissimo, eccomi qui. Spadellavo di nascosto: impresso nella testa ho ancora quel giorno in cui ho provato a fare la mia prima crema pasticciera: avevo 11 anni, ho messo 13 cucchiai di zucchero anziché 3. Avevo leggermente abbondato con le dosi. Era immangiabile (ride, ndr)».
Dalla crema pasticciera a girare il mondo il passo però è stato breve.
«Ho lo spirito libertino, forse. Sono veneto, ma non ho mai sentito forte il senso di appartenenza. Monaco di Baviera, Londra, Amburgo. Fino ad arrivare a Milano al Four Seasons da Sergio Mei e poi Parigi, diventata subito la mia seconda casa».
Perché? Che aveva di così magico?
«Tutto. È stato un colpo di fulmine. Come avere trovato l'amore della vita e non lasciarlo più. La Francia in quegli anni era la formula uno della ristorazione. Si respirava l'aria di novità, con chef come Joël Robuchon, Yannick Alléno, solo per citarne alcuni. Lì sono riuscito con la cucina italiana a fare la differenza, senza stereotipare. Sono stato uno dei primi a portare in Francia il balsamico 50 anni».
E come ha messo insieme le due anime, italiana e francese?
«In modo spontaneo. Metaforicamente come burro e olio, per alcuni versi ingredienti opposti ma anche simili. Gli anni al Carpaccio di Parigi, mi hanno fatto fare un salto in avanti. Ho aperto gli occhi su quello che davvero volevo fare. E i francesi mi hanno sempre portato su un piatto d'argento. Ho assorbito come una spugna e ho cercato di sgrezzare la cucina italiana. Dico sempre che in me c'è il rigore francese e il cuore pugliese».
Un nordico dal cuore del sud?
«Mi sento così. E nelle cose ci metto l'anima».
Ma al nord ci è tornato.
«Mi hanno chiamato al Cipriani mentre ero in vacanza in Italia. Ho detto di sì. Un sì di pancia, perché ho capito subito che ero nel posto giusto. Obiettivo era il cambiamento, anche se sapevo che stare qui era come costruire una moschea dentro il Vaticano. Nel senso bello del termine. La mia è una cucina della nonna, con tutte le influenze tecniche che ci possono essere. Le idee nascono dalla memoria. Vado nell'orto, ad esempio, e magari mi tuffo nei ricordi d'infanzia e di mio papà. Se volessi riassumerla, direi che la mia cucina è sintesi tra orto e laguna. Estraggo i prodotti in modo classico con il mio punto di vista molto originale».
Se non avesse fatto lo chef, cosa avrebbe fatto?
«Forse il golfista. Sono un grande appassionato di golf».

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Ultimo aggiornamento: Venerdì 12 Luglio 2019, 07:54
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