Lionello Cera: «Prima di tutto gli ingredienti poi l’arte di cucinarli con semplicità»

Lionello Cera: «Prima di tutto gli ingredienti poi l’arte di cucinarli con semplicità»

di Rita Vecchio
Una cucina tra terra e mare. Dove protagonista indiscussa è la materia prima. A renderla tale, con maestria, sorriso ed eleganza da oltre 40 anni, è lo chef Lionello Cera. Una fortuna per chi siede alla sua tavola. L’Antica Osteria Cera, due stelle Michelin a Lughetto, in provincia di Venezia, è il suo regno fra tradizione, sostenibilità e innovazione. Insieme ai fratelli Lorena e Daniele, e alla mamma Silvana che, superati gli ottanta, capita di trovarla ancora in cucina ad aiutare. Ed è da qualche giorno che la famiglia Cera ha aperto a Dolo il DaMe bistrò, un locale informale che non rinuncia in alcun modo alla qualità. 



La cucina, un amore lungo anni?
«Esattamente. Ho iniziato da giovanissimo, avrò avuto 10-12 anni, praticamente per strada. Il pesce piccolo che non veniva venduto al mercato, veniva cucinato e fritto il pomeriggio nel bar di famiglia. Io sono cresciuto così. In quello che era un luogo di ritrovo per tutti. Dove a un certo momento della giornata, alla gente che passava si servivano i cicchetti e un calice di vino. Alla faccia dello spreco». 

Un po’ quello che fa oggi nel locale appena inaugurato.
«È un bistrò, un indirizzo all-day, in centro a Dolo, sulla strada per Chioggia dove nel 1966 mia mamma Silvana aveva aperto una “frasca” dove friggere i pesci più piccoli che mio papà Rino, pescatore, non riusciva a vendere, proponendoli come “cicchetti con un’ombra de vin” (un bicchiere di vino). Dalle colazioni alla cena, passando dagli immancabili cicchetti dell’aperitivo, alla focaccia condita. Un luogo semplice, di buonissima qualità e dal prezzo accessibile a tutti. Un’alternativa al nostro ristorante stellato. È come se fossimo tornati, modernizzati, alle origini». 



Cosa è rimasto di allora?
«Il grande, grandissimo amore per la cucina. Lo dico sempre: la cucina la devi amare, devi sentirti bene dalla mattina quando ti svegli. Se non senti lo stimolo che ti parte da dentro, meglio non intraprendere questo lavoro. È un lavoro duro fare lo chef». 

Un ricordo?
«Quello dello “Spaghettino freddo con lucerna, mazzancolla, salsa di pistacchio di Bronte e acqua di capperi”. Un piatto in menu da venti anni e sempre molto gettonato. È nato da un errore di una mia assistente. Le avevo chiesto di tostare del pistacchio con lo zucchero e invece usò il sale. Mi arrabbiai tantissimo. Ma da quello sbaglio mi venne l’idea di fare una salsa e usare il salato dei capperi». 

E un ricordo di qualche chef?
«Quando ero giovane viaggiavo. E il viaggio mi ha aperto la mente. Andavo spesso a Milano, ai tempi di Gualtiero Marchesi, di Ezio Santin. Marchesi ad esempio, che veniva spesso qui al mio ristorante, mi fece i complimenti per il rispetto della materia». 

La sua filosofia?
«La materia prima, appunto. Poi viene l’arte. Chi arriva da me, apprezza un ristorante basato sulla materia. Sa che usiamo il massimo che il mercato ci offre, con la materia prima ittica fuori dal comune, ingrediente primario di ogni piatto». 

Il concetto più difficile da interpretare? 
«La semplicità: il risultato è la creazione di piatti di natura diversa ma riconducibili a questa logica essenziale». 

Un hobby? 
«Mi piacerebbe tornare a nuotare. Un po’ per il lavoro, un po’ per problemi di salute, è da tempo che non lo faccio. Spero presto di farlo».
Ultimo aggiornamento: Venerdì 21 Febbraio 2020, 15:13
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