Gabriele Boffa: «La mia Alba nel cuore e un frullato di idee»
di Rita Vecchio
Una cucina a quattro mani?
«Una cucina dove c'è un buon feeling. Quello con Enrico Bartolini, lo chef che mi ha dato fiducia. Un rapporto di stima e fiducia, basato su confronto e dialogo. Se le cose durano, significa che ci si piace. Di lui amo il modo di pensare e di gestire il ristorante. Qui è stato come quando esci le prime volte con una donna. Cerchi di capirla. È quando inizi a fidarti, che diventa un grande rapporto».
Definisca la sua cucina.
«Tradizionale piemontese e contemporanea. Non a caso alla Locanda proponiamo due menu, uno di cinque portate che per gusto e ingredienti riportano al Piemonte più vero e più classico. E quello a sorpresa, con riferimento a mare e lago, ovvero di una cucina più moderna, quella che il Piemonte vorrebbe diventare».
Le Langhe, territorio affascinante per uno chef?
«Sicuramente essere nato qui, con cibo e vino che ti sbattono in faccia, apre strade di pensiero. Sono di Alba e nonostante abbia viaggiato tanto, sono sempre tornato qui. Sono attaccato alla mia terra. E si sente».
Come ha iniziato?
«Mamma, nonna e il rito quotidiano del cibo casalingo sono stati galeotti. La loro capacità di preparare piatti diversi, in cui si sbizzarrivano con ricette di una volta e prodotti sani, dalle uova alle carni nostre, faceva sì che la mia casa diventasse tutti i giorni un ristorante. A 6 anni ho visto morire la prima gallina».
Primo esperimento?
«La pasta degli agnolotti che tostavo sulla stufa a legna. Amo la pasta cruda. Ancora adesso, ne mangerei a chili».
Il piatto nato per stupire?
«Tridente al dente, fegatini di volatile, cavolo e pera che riporta ai capunet: questo formato di pasta poi viene risottato, avvolta nella foglia di cavolo. Il risultato è uno spaghetto dai mille sapori. Pensi che è nato per caso, come pasto della brigata».
Da Alba alle cucine più prestigiose.
«Da Ugo Alciati a Davide Scabin, un vero genio. Da Andoni Luis Aduriz (da noi i piatti si creano senza i ricordi, diceva) a Enrico Crippa, meravigliosa esperienza che mi porto dietro: il piatto freddo aspetta sempre quello caldo, mai il contrario. Fino a Yannick Alléno, Enrique Olvera, Alexandre Gauthier. C'è stato pure chi mi disse (preferisco non dire il nome) che fare lo chef non era il mio lavoro. Non ho risposto. E sono qui».
Hobby?
«Amo mountain bike e calcio. Ho convinto i colleghi a fare le partite la mattina alle 8, prima di entrare in cucina».
Come nascono i piatti?
«Girando, uscendo, mangiando. Libertà e natura ti fanno frullare le idee. Ma poi è il mercato con le sue bancarelle che ti plasma».
Cosa si aspetta dal futuro?
«Ancora crescita. E magari trovare la persona giusta della vita, facendo di me uno serio anche a casa (ride, ndr).
Ultimo aggiornamento: Venerdì 17 Gennaio 2020, 14:47
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