Biassoni: «La mia cucina fluttuante fa viaggiare restando qui»

Biassoni: «La mia cucina fluttuante fa viaggiare restando qui»

di Rita Vecchio
Usa il plurale Michele Biassoni. Quando racconta il suo essere chef dell'unico ristorante di impronta giapponese che in Italia ha una stella. È lui l'anima di IYO di Milano, insieme alle idee e alla passione del patron Claudio Liu, con cui sperimenta e crea.

Come ha scoperto che le piaceva cucinare?
«Grazie a nonna Ginetta che mi preparava riso e piselli e pollo arrosto con le patate. La quantità dipendeva da come mi ero comportato a scuola. Erano però più le volte in cui le porzioni erano piccole, vista la mia vivacità (ride, ndr). A 7 anni ho provato a cucinare il suo riso: venne immangiabile. Rimasi malissimo».



Ma non si arrese.
«No. Frequentai l'alberghiero. Ricordo i pomeriggi in cucina a ripetere quanto avevo imparato a scuola. Credo di avere tagliato un'infinità di patate e di averle rifilate ai miei in mille forme. Mamma e papà mi hanno sempre appoggiato, fin dal mio primo stage in Sardegna, quando mi accompagnarono al porto, sventolando fazzoletti...manco stessi partendo per l'altro capo del mondo».

Aveva uno chef come idolo?
«Non ne conoscevo nessuno. L'alta cucina non era così di moda, ma divenne il mio sogno. Iniziai a mandare curriculum a tutti gli stellati di Milano. Nessuno mi rispose».

Poi, però, si prese la rivincita.
«A 18 anni ero da Claudio Sadler. Fu uno choc che mi spronò a fare meglio. Fu un bell'anno. Ricordo quando chiusi un collega in cantina: togliere la chiave, era lo scherzo più in voga tra noi della brigata. Peccato che non mi accorsi che il malcapitato quel giorno non era un compagno ma Sadler».

Si arrabbiò?
«Michele, sei proprio un pirla, mi disse. E scoppiammo a ridere».

E dopo?
«La voglia di andare all'estero vinse. Parigi era il mio sogno: mandai cv a tutti gli stellati e anche qui nessuno rispose. Andai prima in Spagna, da Martin Berasategui e poi finalmente in Francia da Enrico Bernardo. Sono stati anni di grande scuola. Il mio vero studio è sempre stato quello di sperimentare e osare. Cosa che continuiamo a fare da IYO».

Perché parla al plurale?
«Perché è il team la vera forza. Accanto a me c'è il patron Claudio Liu. E la brigata, da ogni parte del mondo. In cucina non esistono confini o passaporti».

Come è arrivato da IYO?
«Destino. Ho conosciuto Claudio in un momento di incertezza. Ero stato chiamato da Cracco a Palazzo Parigi a Milano. Ma forse gli anni trascorsi fuori, mi avevo reso voglioso di altro. Il mondo fluttuante di IYO mi ha affascinato. Facendomi viaggiare con la testa, pur stando fermo. La famosa triglia, è nata dopo soli tre giorni. Ed è ancora in carta».

Conosceva il Giappone?
«No, il mio primo incontro è stato grazie a Liu ed è con lui che l'ho visitato. Sono un cuoco che impara ogni giorno».

Vita privata?
«Manca un mese al matrimonio (sorride, ndr). La mia fortuna è Valeria, donna che comprende il mio lavoro. Lei ha ispirato tanti piatti, come Tako, quello con il polpo di cui va matta».

Prossimo step?
«Un nuovo locale a settembre. Sempre a Milano e sempre con Claudio Liu. Ma lo stile sarà diverso. Non posso dire di più».
Ultimo aggiornamento: Venerdì 19 Luglio 2019, 07:29
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