Sanremo, la Rai ha paura del nuovo
e ci fa vivere nel passato

Sanremo, la Rai ha paura del nuovo ​e ci fa vivere nel passato

di Enrico Silvestrin
È più anticonformista criticare Sanremo o amarlo e sentirne la necessità quella settimana l'anno in cui inevitabilmente lasciamo che ci rapisca l'attenzione? A questa domanda in realtà non esiste risposta, perché Sanremo divide i giudizi con così tanto accanimento che le fazioni sono equamente numerose.





Allora provo a non dare un giudizio su questa edizione o sul festival in generale, ma prendo lo spunto per capire gli italiani, o quantomeno l'opinione che la Rai deve avere del nostro popolo. E temo che non sia così gratificante. La Rai offre da almeno due decadi una televisione che ci intrappola nel passato, ci fa rivivere le stesse "emozioni" come se il presente non esistesse, figuriamoci il futuro.



Si cerca, e male, di far rivivere lo stesso tipo di televisione che ci appagava venti o trenta anni fa, con protagonisti neanche troppo diversi, o comunque valide emulazioni di quelli del passato, lasciandoci premurosamente all'oscuro di gusti e tendenze che, se proposte, appagherebbero proprio quello stesso pubblico che non si lascia crescere, che non si vuole far evolvere, che si pensa non sappia capire novità che sarebbero comunque già vecchie.



Il risultato è che la Rai ha un pubblico di quasi anziani, mentre i giovani da tempo sono migrati verso Sky e una diversità di proposta che non solo fa numeri importanti, ma nel migliore dei casi genera i successi della stagione, come Gomorra, X-Factor o Masterchef. Un sistema chiuso e mummificato contro uno aperto a tutti i gusti e che sa vendere la propria qualità, frutto anche di investimenti corposi, in tutto il mondo e a caro prezzo.



Paragonare una serie ammiraglia della Rai come Un passo dal cielo a Gomorra è quasi un esercizio di crudeltà. Da un lato un'Italia che esiste solo nella mente di sceneggiatori privi di alcun talento narrativo, dall'altro l'Italia anche cruda in cui le generazioni non devono fare alcuna fatica per riconoscersi. Sanremo è tutto questo: la difesa di una tradizione che ha fatto più danni della grandine, ad opera di relativamente-giovani vecchi come Carlo Conti, riesumando cantanti che discografica mente non esistono in quanto auto estinti, o artisti di seconda mano usciti dai Talent di Sky o Mediaset (paradossale e Tafazziano che nessuno venga da The Voice).



La paura del nuovo attanaglia dirigenti anziani, fuori dalla realtà, che hanno smesso di vivere qualche decennio fa e che non sanno nemmeno cosa propongano altre televisioni di stato come la BBC, di cui giovano gli inglesi. Quando smetti di essere curioso inizi a morire dentro. La Rai una settimana di febbraio ogni anno si mostra come «una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d'abiti giovanili». Pirandello lo definiva umorismo, il sentimento del contrario, io lo trovo solo grottesco.
Ultimo aggiornamento: Venerdì 13 Febbraio 2015, 08:04
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