Ragazzo di 22 anni si impicca in carcere a Regina Coeli. Il garante: "Non doveva stare là"

Ragazzo di 22 anni si impicca in carcere a Regina Coeli. Il garante: "Non doveva stare là"
Venerdì sera un detenuto italiano di 22 anni si è impiccato utilizzando un lenzuolo legato alla grata del bagno nel carcere romano di Regina Coeli. Lo rende noto il sindacato penitenziario Fns Cisl. Il tutto è accaduto alle 23.00 nella seconda sezione del terzo piano dove erano presenti 167 detenuti. «L'uomo che si trovava in carcere per resistenza, lesione e danneggiamento - spiega Massimo Costantino - era evaso da una Rems (strutture che hanno sostituito i carceri psichiatrici, ndr) ma ripreso era stato condotto in carcere». «Purtroppo, seppur il personale è intervenuto immediatamente - aggiunge il sindacalista - nulla è servito a salvarlo». Il carcere di Regina Coeli come noto- conclude il sindacato - ha un sovraffollamento di più 289 detenuti , 911 rispetto ai previsti 622.

«Questo ragazzo era scappato da una Rems e a lui erano contestati solo reati di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni. Reati tutto sommati irrilevanti e legati al fatto che era andato via dal Rems. E allora mi chiedo, perchè non è stato riportato al Rems? Perchè si trovava in carcere? Questo suicidio si poteva evitare». Se lo chiede il garante dei detenuti del Lazio Stefano Anastasia. «Questo ragazzo non doveva stare in carcere - aggiunge - Aveva problemi significativi da un punto di vista psichiatrico, quindi era incompatibile col regime carcerario. Capita che si stia in carcere per reati tutto sommato irrilevanti e non va bene. Ho già parlato con la direttrice di Regina Coeli e mi ha raccontato di quanto successo, ha dato lei la notizia ai familiari. Adesso voglio capire se portare una persona che scappa dal Rems in carcere sia una prassi che può essere superata dalle forze di polizia e dalla magistratura. Perchè va compreso - conclude Anastasia - che la misura cautelare è l'ultima spiaggia».

«Qualcuno penserà che questo povero ragazzo di 22 anni si sarebbe comunque tolto la vita anche da libero.
Anche se fosse stato in un luogo più adatto a condizioni psichiche compromesse. Noi avvocati no», afferma il presidente della Camera Penale di Roma, l'avvocato Cesare Placanica. «I numeri non ingannano. I suicidi in carcere sono statisticamente superiori in modo incomparabile a quelli che avvengono fuori dalla mura di detenzione. Ma i numeri confermano quello che è sotto gli occhi di tutti, e che solo chi dovrebbe vedere non vuole vedere. Condizioni di detenzione inumane. Una violazione continua della dignità personale. Distribuita indiscriminatamente a tutti: a chi ha commesso un reato e a chi sarà poi assolto perché giudicato innocente. Quando ci si occuperà seriamente degli uomini e delle donne ristretti in carcere? Quanti morti ancora saranno necessari perché certe coscienze comincino a rimordere?».

Ultimo aggiornamento: Sabato 25 Febbraio 2017, 17:33
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