Tra gli amici di Vanessa e Greta, le ragazze rapite in Siria: "Lo dicevamo di non andare là"

Vanessa e Greta, le ragazze italiane rapite in Siria. Gli amici: "Lo dicevamo di non andare là"

di Renato Pezzini
Due ragazze cos vorrebbero averle tutti come figlie. Due ragazze che a vent’anni, o poco più, mettono da parte ogni cosa e decidono che ciò per cui vale la pena spendere energie, fatica, entusiasmo è dare una mano agli altri, a quelli che ne hanno bisogno davvero, che stanno sotto le bombe di una guerra infinita, che sopravvivono a stento fra le macerie di città dove mancano medicine e viveri e umanità. «Cosa vai a fare laggiù?» chiedevano a Vanessa i vicini. Lei sapeva quel che andava a fare.







Studentessa e cameriera. Quando non era in Università a Milano - Corso di Laurea in Mediazione Linguistica e Culturale -, quando non era alla stazione Centrale per dare assistenza ai profughi siriani, quando non era in giro per la Lombardia a organizzare serate per raccogliere fondi, Vanessa la si poteva trovare col grembiule da cameriera fra i tavoli della Cascina Bolsa, il ristorante del padre fra i capannoni e i centri commerciali della bassa bergamasca, 10 euro menù fisso. Qualche cliente abituale ci scherzava: «Non andarci in Siria che ti sparano».



Il padre di Vanessa, Salvatore, è arrivato Brembate (Bergamo) dalla Calabria. La madre Patrizia dalla Sicilia. Hanno un altro figlio, Mario. Da sei giorni vivono nel terrore, adesso anche con l’ossessione dei giornalisti: «La Farnesina ci ha ordinato di non dire niente». Non hanno detto niente neppure ai vicini che adesso si affacciano ai balconi della casa a ringhiera di via Torri e rimangono impietriti. E neanche a Luca, gestore del pub di fianco alla loro locanda, che quando viene a saperlo gli cade il boccale di birra dalle mani.



«Io gliel’avevo detto» dice Luca «Ti insegno ad andare a cavallo, così ti passa questa fissa della Siria». Vanessa ci rideva su. Era già andata una volta, a marzo, per studiare quel che si poteva fare. Con lei c’era Greta, al ritorno avevano cominciato a raccogliere fondi, e documentavano tutto. Entrate e uscite. «Acquisteremo medicinali e macchinari sanitari in Turchia, li porteremo oltre il confine siriano, nella zona di Aleppo». E non c’erano inviti alla prudenza o consigli amichevoli che le fermassero.



Vanessa e Greta si sono conosciute un paio d’anni fa perché entrambe volontarie della Organizzazione Internazionale di Soccorso. Vanessa di Brembate, Greta di Varese. Poi c’è Roberto Andervill, più vecchio di loro, 47 anni, «professione fabbro». Era andato con loro in Siria a marzo, questa volta è rimasto in Italia: «Sono partite il 28 luglio, L’ultimo contatto è dell’1 agosto. Poi mi ha chiamato il Ministero qualche giorno fa per dire che non c’erano più loro notizie».



Reagire alla violenza. Per strappare l’autorizzazione ai genitori in casa hanno ripetuto fino allo sfinimento che non c’erano pericoli. E come non credere a due ragazze così determinate a dimostrare a sé stesse e agli altri che può esserci un mondo migliore di questo? Vanessa ne parlava ai coetanei seduta sul parapetto del vecchio ponte che attraversa l’Adda, a Brembate. Greta lo scriveva su facebook: «Tra i nostri obiettivi c’è quello di spingere i giovani a interessarsi e reagire alla violenza perpetrata ogni giorno nei confronti del popolo siriano».



Salvatore Marzullo, il padre di Vanessa, per sei giorni è riuscito a fare finta di niente. Ogni mattina ha alzato le saracinesche del ristorante, si è messo ai fornelli con la lena di sempre, ha accolto i clienti col solito garbo. «La Farnesina ci ha detto di continuare a fare le stesse cose, anche perché non possiamo fare niente se non aspettare» ha detto a un amico non appena la notizia è arrivata in tv. Tutti aspettano, a Brembate e a Varese. Tutti convinti che Greta e Vanessa torneranno: «Sono due ragazze forti».



I commenti su Facebook








Ultimo aggiornamento: Giovedì 7 Agosto 2014, 19:41