«Vivono nella parte ricca di Napoli: ecco perché li abbiamo accoltellati»

«Vivono nella parte ricca di Napoli perciò li abbiamo accoltellati»

di Leandro Del Gaudio
Quando gli hanno fatto vedere quel video ha tentennato, poi si è sciolto in lacrime e ha ammesso le proprie responsabilità. «Sì, sono io quello che impugna il coltello, ma ci tengo a precisare che è poco più di un portachiavi, di un souvenir, l’ho buttato nella spazzatura subito dopo il fatto, se volete vi indico pure il posto dove l’ho gettato».
È il 23 dicembre scorso, davanti ai carabinieri del Vomero, parla il 16enne protagonista del video di piazza Vanvitelli, quello che si pone a capo della rappresaglia contro due ragazzi fermi in un gazebo all’esterno di un bar, indicati come responsabili del peggiore affronto che si possa fare tra le bande che imperversano di notte: quella di non aver abbassato lo sguardo, di aver accettato la sfida con una occhiataccia che ha dato inizio alla rissa di metà dicembre. 
Ed è questo uno dei punti su cui si soffermano le domande dei carabinieri, il tema centrale che intrattiene la curiosità di gran parte dell’opinione pubblica: cosa spinge sedici ragazzi in motorino a fare inversione a «U», a fermarsi all’esterno di un bar di una delle zone più belle della città per aggredire due coetanei intenti a mangiare un panino? Parla V.C., che prova a motivare il risentimento nei confronti di quelli che vengono definiti «ragazzi più fortunati»: «Noi veniamo da zone povere della città, quella sera ci siamo fatti un giro nella zona degli chalet (Mergellina), poi al Vomero, quando quelli ci hanno guardati, è stato istintivo fermarci, ce la siamo presa con loro, sono quelli più fortunati...». 
 

Una ricostruzione che conferma l’esistenza di una sorta di risentimento istintivo nelle zone bene della città, a Chiaia e al Vomero, specie nei fine settimana. Ma torniamo alle indagini sul ferimento dei due ragazzi in piazza Vanvitelli. 
È la notte tra il 16 e il 17 dicembre scorso, la zona è addobbata a festa, ci sono le luminarie, manca una settimana a Natale. È in questo contesto che viene consumata la maxirissa nella quale due ragazzi (sono le vittime dell’aggressione, hanno 16 e 18 anni) incassano coltellate alle gambe, colpi di casco alla testa, tanto da ricorrere alle visite mediche. 

Non sono del Vomero, vengono dalla zona dei Ponti Rossi, sono stati presi di mira per il solo fatto di essere lì, in quella zona, almeno a sentire uno dei protagonisti dell’aggressione. 
 

Difeso dal penalista napoletano Bruno Carafa, lo scorso 23 dicembre il 16enne ha chiesto di parlare con gli inquirenti. Dopo la rissa del sabato precedente, era rimasto a casa, chiuso in una sorta di mutismo, tanto da insospettire la madre con cui poi si è confidato. La paura di essere arrestato, l’incubo di aver arrecato a due coetanei dei danni irreversibili, la certezza di finire sotto processo lo hanno spinto a rivolgersi agli inquirenti. 

Due giorni prima di Natale, era dinanzi agli uomini del maggiore Luca Mercadante, in una sorta di confessione-sfogo. Ha raccontato quella notte della settimana prima, simile a tante altre notti che dai bordi di periferia lo hanno portato nel cuore della movida dove - ha spiegato - «sembri un fantasma: poi quando qualcuno ti guarda, ti viene naturale dire, “e mo che vuoi, stai guardando ancora?”». 

Lesioni gravi, rissa, porto di armi. Eccole le accuse che gli vengono mosse, nel corso di una indagine condotta dal pm Ettore La Ragione, in uno scenario investigativo che ha fatto i conti con la totale mancanza di segnalazioni da parte dei passanti che hanno assistito alla zuffa di Natale. 

È caccia aperta a un altro minore che avrebbe sferrato fendenti a colpi di coltello, mentre si rivedono foto e fermo immagine ricavate da alcune telecamere nella zona del Vomero. Ammette la sua responsabilità, ma non fornisce particolari utili a definire il ruolo di altri compagni di branco, fedele a un canovaccio che si ripropone anche nelle aule di giustizia dove sono gli adulti protagonisti. Ma come andò la notte vomerese del branco di Bagnoli? Lo spiega ancora l’indagato numero uno: «Ero in sella a uno scooter guidato da un amico, gli altri del gruppo si sono uniti strada facendo». Cosa intendi per «strada facendo», insistono i carabinieri. «Dalla piazza di Bagnoli, il nostro ritrovo, alla zona degli chalet di Mergellina... qui si sono uniti altri amici, tutti della mia zona, ragazzi che a stento conosco di nome, eravamo tutti in sella agli scooter, abbiamo deciso di “salire” al Vomero...». 

Quindi? «Una volta arrivati in quella piazza, che non mi ricordo neppure come si chiama, è accaduto il fatto... solo ora apprendo che quei due che sono stati feriti non erano del Vomero, ma come noi arrivavano da una zona diversa della città». Quindi? «Sono dispiaciuto per le ferite inferte, vorrei risarcire, se avessi la possibilità economica, mi limito a chiedere scusa». È il punto nel corso del quale i carabinieri incalzano il ragazzino: se è vero il tuo racconto, allora perché uscire di casa, alle due di notte, con un’arma bianca? Perché girare armato e in gruppo? «Era un souvenir, un porta chiavi. L’ho gettato nella spazzatura dopo aver ferito quei due ragazzi, posso anche indicare in che posto ho buttato il coltello...». 

Una ricostruzione non proprio in linea con quanto emerso nel corso delle indagini condotte dai militari dell’arma. Come è noto sono quindici i ragazzi del branco di Bagnoli denunciati per rissa: sono quelli immortalati dalle immagini mentre fanno dietrofront in sella alle moto, per andare a cercare rogne nella zona del gazebo, contro i rivali di una notte. 

Si tratta di soggetti non legati a cosche camorristiche, anche se qualcuno di loro ostenta via facebook amicizie con esponenti di famiglie storicamente vicine della camorra di Bagnoli; sono figli di genitori incensurati, anche se in alcune abitazioni è stato trovato il kit della movida violenta: coltelli, tra cui un esemplare a «farfalla», tirapugni sono infatti venuti fuori nel corso delle perquisizioni compiute in questi giorni dagli uomini del comando provinciale dei carabinieri Ubaldo Del Monaco.

Scenari simili a quelli emersi in altre zone della città. È il caso della rissa di metà novembre a Chiaia, dove ad imporre il proprio predominio è stato il gruppone di San Giovanni a Teduccio, capitanato da uno degli eredi del clan Formicola di via Taverna del Ferro, un minore che avrebbe organizzato la rappresaglia a colpi di spranghe e coltelli nella zona di via Poerio. 

Anche qui stesso refrain: il gruppo cercava rogne - hanno chiarito alla polizia alcuni testimoni - si è messo a fissare altri ragazzi all’insegna del «che hai da guardare...». 

Uno scenario metropolitano che ripropone l’emergenza delle bande di periferia che invadono il centro in modo violento, che si presentano tra Chiaia e il Vomero con il solito corollario di frustrazione: scooter nuovi, spranghe e coltelli, la voglia di fargliela pagare a «quelli che sono più fortunati», «lì dove se non sei violento rischi di sembrare invisibile», per dirla con il sedicenne di Bagnoli immortalato dall’ennesimo video choc sul peggiore by night metropolitano. 
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 10 Gennaio 2018, 16:41
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